…ci sono trasmissioni e trasmissioni

L’Arma delle trasmissioni è una delle più giovani dell’Esercito Italiano: la sua nascita ufficiale fu sancita il 30 Dicembre 1997 ma le “trasmissioni” traggono origine dalla “Specialità telegrafisti del Genio” creata nel 1883 e dalla successiva “Specialità Collegamenti” dal 16 maggio 1953 poi ridenominata “Specialità Autonoma Trasmissioni” con propri fregi e mostrine. Oggi le “comunicazioni” sono uno dei fondamenti di un esercito moderno. E in questo blog vari articoli ne hanno parlato ricordando anche i nostri “Spatia Devinco disiunta coniungo”.
Ma come ben sappiamo tutti le “trasmissioni” hanno seguito anche una linea di sviluppo civile autonoma che prevedeva, a differenza di quella militare, che una trasmissione (fosse di dati o notizie) venisse ricevuta dal maggior numero di ricevitori posibile! In molti casi in essa viene usata la stessa terminologia ma le finalità,come ben sappiamo, sono completamente diverse, essendo legate, a differenza delle prime, alla “diffusione“.
Anche queste trasmisioni hanno alle spalle una lunga storia di cui è sicuramente interessante vedere alcune immagini…
…come i primi, per noi, rudimentali ricevitori e sistemi di registrazione dell’audio…

… come i primi potenti trasmettitori e le sale di gestione della bf…

… e anch’essa pagando tributi alla guerra (nella prima foto il Centro di Milano non ancora inaugurato e già bombardato nel 1943) ma poi risorgendo (anch’essa grazie al piano Marshall)

Abbiamo parlato di quella che in Italia fu dapprima l’URI (Unione Radioemittenti Italiane) e successivamente l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radifoniche). E uno studioso, raccogliendo in un libercolo le testimonianze di alcuni di coloro che vi lavorarono (in questo caso nella sede romana) ha voluto ricostruire una giornata come la si viveva in quell’ambiente.

Chi volesse leggere questa ricostruzione può scaricarla cliccando sui questi link UN GIORNO ALL’EIAR I°UN GIORNO ALL’EIAR II° (diviso in due parti solo per motivi di “peso”)

..il treno dei ricordi ferma spesso in stazioni… radio

I nostri marconisti “veterani” dovrebbero ricordarsela bene… era l’apparato usato per eccellenza: il trasmettitore BC 191 del complesso stazione radio SCR 193 onde corte… e quando la radio funzionava anche da stufetta…
Normalmente il trasmettitore BC 191 lo si trovava alloggiato in un cassone di legno, con delle particolari “gambe”, e con l’alimentatore tipo survoltore BD 77, ed il ricevitore BC 312, nella versione campale. Ricorderanno i nostri eroici marconisti anche che l’alimentazione era fornita da due accumulatori, collegati in serie, da 6V/200Ah e collegati in tampone con un groppo elettrogeno che era il PE 75.
Il complesso stazione radio SCR 193 veniva poi solitamente montata su un mezzo, l’OM CL 51 autoradio “..il porcellino”, ma era anche, per esempio, montata presso la Sala Radio del Centro Trasmissioni del Comando di Divisione a Villa Margherita ed assicurava i collegamenti con tutti i vari Reggimenti della Divisione e il Corpo d’Armata.
Veniva usato in “CW” e il segnale trasmesso sentito in autocontrollo aveva un suono inconfondibile… quando si accordava l’antenna si sentiva l’alimentatore andare sotto sforzo mentre, quando non era accordata l’antenna, i grossi tubi VT 4C con placca in grafite.. diventavano rossi e incandescenti tipo stufetta a infrarosso e una luce blu di fasci elettronici trattenuti illuminava ..la scena…
La frequenza, utilizzando le diverse unità di sintonia intercambiabili, andava da 1,5 a 6,2 Mhz modulati in ampiezza e la potenza in uscita, in CW, poteva raggiungere la ragguardevole soglia di 75 W per portare i segnali, da fermo, a più di 90 km. In dotazione, qualcuno ricorderà, c’era anche una antenna fittizia e anche che, per il controllo della frequenza, si usava un frequenzimetro a battimento tipo BC 221.
E tante sul campo erano le esercitazioni; ma una volta, e il ricordo è indelebile, questi apparati furono usati dal Battaglione anche per una grave emergenza… l’alluvione del 4 novembre 1966 durante la quale le necessarie comunicazioni tra i Reparti spediti in soccorso usarono anche queste stazioni… ma questa è un’altra storia…

da “”C’ero anch’io” di Luciano Marchi… (segue)

…e c’ero anch’io!!

La mia carriera nell’Esercito è iniziata a 17 anni, nel Novembre 1964, quando, terminati gli studi presso il Professionale ENAIP per Elettromeccanici di Predazzo e, fatta la relativa domanda, partii per l’arruolamento volontario come Allievo Sott’Ufficiale.
Superati gli esami di ammissione, mi ritrovai inquadrato nel Battaglione Allievi Sott.li Specializzati della Scuola ASS, nella caserma Rebeggiani di Chieti Scalo, per frequentare il Corso Addestramento Reclute.
Al termine di questo corso, della durata di 4 mesi, si ricevevano i gradi di caporale e si veniva trasferiti alle diverse Scuole di Specializzazione sparse in Italia. Venne accolta allora la mia preferenza espressa e quindi indirizzato alla Scuola Trasmissioni di Roma Cecchignola, Caserma Perotti, per il Corso Radiomontatori, che avrebbe portato all’incarico nell’E.I. denominato n. 56. Al termine di questo percorso, durato nove mesi, avendo conseguito il Brevetto di Specializzazione qualificandomi primo del corso, ebbi l’opportunità di scegliere la destinazione di impiego.
Fra le varie possibilità prospettate vi era, a Treviso, il “Battaglione Trasmissioni Folgore”… non ebbi dubbi nella scelta sia per l’emozione che il solo nome suscitava sia per il motivo di vanto che il solo indossarne le mostrine rivestiva nell’immaginario di noi tutti giovani; ma vi era anche un motivo più “pratico” essendo che, logisticamente, la caserma si sarebbe trovata a pochi chilometri dall’abitazione della mia famiglia, alla quale restavo comunque molto affezionato.
Una famiglia di brava gente, semplice, originaria di Cimadolmo (Tv), sulla riva sinistra del Piave, impegnata da generazioni nell’organizzazione della lavorazione del vimini che, raccolto nell’alveo del fiume, veniva lavorato, intrecciato e commercializzato anche all’estero dando lavoro a molte persone del paese… fino all’arrivo della plastica.
Per motivi di lavoro, si erano poi fatti dei trasferimenti (tra i quali 4 anni a Genova) ma dal 1956 (io avevo allora 11 anni essendo nato il 24 agosto 1947) si era stabilita a Predazzo. E lì già risiedeva quando, nell’ottobre 1965, arrivai come Caporal Maggiore ASS alla nostra De Dominicis.
Il Comandante del Battaglione, Ten. Col. Mario Celentano, mi assegnò alla 1° Compagnia, comandata dal Cap. Giancarlo Parentelli, il quale, praticamente subito, mi affidò alle “amorevoli cure” del M.llo Magg. Vignaduzzo e del Serg. Magg. Palmieri, allora responsabili del Laboratorio Radio.
Ma già pochi mesi dopo, per il completamento della formazione di Sott.le, un altro trasferimento e, questa volta. alla Scuola ASS di Rieti per un corso di circa 4 mesi, con esami finali, per tornare alla DeDo in attesa dei gradi di Sergente (arrivati nel maggio 1966 mentre si era al campo a Travesio, sul monte Ciaurlec. Poco dopo, altro corso.. questa volta corso divisionale per comandanti di squadra difesa NBC alla caserma Cadorin, sede del 33° Rgt. Artiglieria Folgore.
Nel settembre 1966, altro trasferimento, ritorno a Roma, Scuola Trasmissioni, e altro corso di aggiornamento, questa volta, sulle stazioni radio AN/GRC 5-8 e ponte radio AN/TCC23. Ritorno breve alla DeDo perché nel 1967 vengo aggregato alla Sez. Trasm. dell’Officina Media del Reparto RRR (Rifornimenti, Riparazioni, Recuperi) Folgore nella Caserma Salsa di Treviso.
Nel 1968, compiuti 21 anni, il mio passaggio in S.P.E.
Nel 1969 un altro corso di perfezionamento, di 3 mesi, per Radiomontatori presso la Scuola Telecomunicazioni Interforze di Chiavari.
Nel 1973 il mio trasferimento in servizio effettivo al Reparto RRR Folgore e con gran dispiacere chiudo (ma solo amministrativamente) il mio rapporto stretto con il “nostro” Battaglione Trasmissioni Folgore, che mi rimarrà però sempre indelebile nel cuore.

le Trasmissioni nella Prima Guerra Mondiale

La Prima Guerra Mondiale fu il primo vero conflitto dopo l’invenzione del telefono e della radio; questi mezzi di comunicazione se da una parte consentono una velocità di trasmissione dei messaggi praticamente istantanea, dall’altra sono irrimediabilmente esposti all’intercettazione da parte del nemico, e questo vale soprattutto per le comunicazioni radio.
Catturare il corriere che recava un messaggio importante era impresa difficile e occasionale, intercettare una trasmissione radio, una volta installata una stazione di intercettazione è un gioco da ragazzi, nonostante i vari tentativi di crittografare i messaggi.
I primi a rendersi conto di questa nuova possibilità furono i Francesi che allo scoppio della guerra disponevano già di un ben organizzato ed efficiente ufficio spionaggio presso il quartier generale dell’esercito. E sin dall’ottobre 1914 i crittanalisti francesi guidati dal Col. Cartier e dal Cap. Olivari furono in grado di decrittare i messaggi radio tedeschi. Ma il migliore crittanalista francese fu poi un professore di paleontologia Georges Painvin che nel 1918 riuscì a decrittare molti messaggi cifrati con la cifra ADFGVX tra i quali il famoso radiogramma della vittoria.
Altrettanto ben preparati gli Austriaci: già nell’agosto 1914 i crittanalisti asburgici riuscirono a decrittare i radiomessaggi russi che per la verità erano solo in parte cifrati; anche quando i russi cominciarono a cifrare i loro messaggi radio il cap. Pokorny riuscì nel giro di pochi giorni a decrittarli nuovamente.
Negli altri paesi veri e propri uffici cifra furono organizzati solo dopo l’entrata in guerra.
Assolutamente impreparati furono soprattutto i Russi che all’inizio della guerra non si preoccupavano neanche di cifrare i loro messaggi radio, come avvenne durante la battaglia di Tannenberg nell’agosto 1914 quando persino gli ordini operativi venivano trasmessi in chiaro; un formidabile regalo ai Tedeschi che intercettarono totalmente i mesaggi.
I Tedeschi riuscirono a decrittare i messaggi russi anche dopo che questi ultimi iniziarono a cifrare le loro comunicazioni radio; qualche successo lo ottennero anche nei confronti dei Francesi; il principale crittanalista tedesco fu il prof. Deubner.
Capo dell’ufficio crittologico della Marina Britannica fu Sir Alfred Ewing che organizzò la cosiddetta Room 40 (dal numero della sua stanza negli uffici dell’ammiragliato) dove si decrittavano migliaia di radiomessaggi della marina tedesca. Il più noto di questi messaggi fu il “telegramma Zimmermann” con il quale i Tedeschi offrivano un’alleanza ai Messicani in chiave anti-USA. Letto al Congresso degli Stati Uniti questo messaggio fu uno dei fattori che spinsero gli Stati Uniti a entrare in guerra nel 1917.
Negli Stati Uniti non esistendo un Ufficio Cifra federale fu promosso a tale rango il reparto crittologico dei laboratori Riverbanks di Chicago una fondazione privata di ricerca nella quale lavorava anche William Friedmann destinato a divenire il massimo crittologo e crittanalista USA.
Del tutto impreparati in campo crittologico furono gli Italiani che dovettero in un primo tempo appoggiarsi all’ufficio cifra francese; solo in un secondo tempo fu costituito un ufficio cifra autonomo sotto la guida di Luigi Sacco.
In definitiva fu proprio la Grande Guerra a far scoprire a molti stati europei l’importanza della crittografia, il cui ruolo diventerà assolutamente fondamentale nella II guerra mondiale.

Articolo tratto da varie pagine facebook sulla I°G.M.

LA FESTA DELL’ARMA DELLE TRASMISSIONI

20 giugnoL’Arma delle Trasmissioni celebra la ricorrenza del 104° anniversario della seconda battaglia del Piave, più nota come la battaglia del Solstizio (13-24 Giugno 1918), che fece da preludio alla vittoria finale dell’Italia nel Primo conflitto mondiale. In quel lontano giugno, i trasmettitori si batterono con coraggio, eroismo e senso dell’onore fianco a fianco degli altri Corpi dell’Esercito Italiano, dimostrando senza esitazione e anche nel momento estremo, tutta la loro umanità e la loro grandezza in nome di quei valori nei quali la Forza Armata si identifica, oggi come ieri. Allora i “trasmettitori” rappresentavano la specialità “Collegamenti” dell’Arma del Genio, e ricoprivano principalmente incarichi da telefonisti, marconisti e radiotelegrafisti e si calcola che in quel periodo bellico essi stesero 100.000 chilometri di linee telefoniche e installarono 1100 stazioni telegrafiche, telefoniche, ottiche e radiotelegrafiche. Nel 1953 il cambio di denominazione da “Genio Collegamenti” in “Trasmissioni” e la nascita ufficiale dell’Arma avvenne con Decreto del Presidente della Repubblica, il 1° gennaio 1998.
Nei decenni seguenti, in uno scenario caratterizzato da una continua e rapidissima evoluzione tecnologica, il personale delle Trasmissioni ha preso parte a tutte le operazioni condotte dall’Esercito, sia in Patria sia fuori dal territorio nazionale. Tale determinante impegno è stato premiato con la concessione della Medaglia d’Argento al Valore dell’Esercito, di cui ora si fregia la Bandiera di Guerra dell’Arma delle Trasmissioni.
Oggi i Reggimenti e i Reparti delle Trasmissioni continuano a garantire il successo delle missioni affidate all’Esercito Italiano: dal supporto CIS, allo sviluppo di nuove tecnologie in ambito Cyber Space…

Le Trasmissioni nella Iª Guerra Mondiale

nella foto alcuni Soldati Telegrafisti del Genio Italiano con Fucili Carcano mod 91TS.
La prima guerra mondiale fornì un notevole impulso allo sviluppo di nuove tecnologie, tra cui quelle legate al settore delle trasmissioni, che vennero impiegate dalle varie potenze sia per facilitare la comunicazione al fronte, tra i diversi reparti, sia per le azioni di spionaggio.
All’interno del Regio Esercito Italiano fu il Genio che si occupò dei servizi di trasmissione e osservazione attraverso i telefonisti, i radiotelegrafisti, i telegrafisti, fototelegrafisiti, gli aerostieri, i piccioni viaggiatori e i foto elettricisti.
Con l’avvento della telefonia alla fine dell’ottocento era già stato fatto un passo avanti e il conflitto rappresentò l’occasione ideale per affermare l’uso del telefono da campo, il cui primo modello, in Italia, era stato realizzato dal capitano del Genio militare Gaetano Anzalone nel 1908. Tale telefono era contenuto in una cassetta di legno e il collegamento avveniva attraverso cavi aerei, collocati su pali o sistemati su alberi. Il compito del telefonista, era quello di accompagnare il comandante durante le ricognizioni, di trasmettere tempestivamente gli ordini ai comandi, alle prime linee e alle retrovie e la sua postazione privilegiata erano solitamente gli osservatori.
Nel corso della guerra l’impiego della radio, non si limitò soltanto al campo di battaglia ma ebbe un rilevante incremento anche nell’aviazione. All’inizio delle ostilità in Italia nessun aeroplano era fornito di radio, così nel 1915 si decise di eseguire presso il campo di Mirafiori a Torino un primo esperimento che diede ottimi risultati: si trattava di un piccolo trasmettitore a scintilla di tipo sperimentale costruito dalle Officine Marconi.
Proprio il fisico Guglielmo Marconi fu il principale artefice di questi esperimenti; prima in qualità di ufficiale del Genio e poi della Marina, egli contribuì a migliorare le prestazioni delle comunicazioni a distanza radio militari. Senza dubbio il servizio più innovativo offerto dalla radio nel campo dell’aviazione fu quello di consentire la comunicazione con le stazioni di terra. Tra i velivoli quelli maggiormente impiegati dai diversi eserciti furono i palloni-aerostatici da osservazione (il “Pallone-Drago” italiano, la “Saucisse” dei francesi, il “Drakken” inglese).
Il loro obiettivo era quello di osservare dall’alto il campo nemico e rilevare la posizione dell’artiglieria. Inizialmente gli osservatori a bordo del velivolo, tramite segnalazioni manuali o con bandiere, riuscivano a segnalare in tempo reale al Comando quello che stava avvenendo ben oltre le posizioni occupate; nell’ultimo periodo della guerra, invece, il servizio venne perfezionato e svolto in modo molto più efficace: l’osservatore seguiva ininterrottamente a bordo dell’aerostatico l’effetto della propria artiglieria e ne radiotelegrafava al proprio Comando i risultati. Egli poi marcava su una carta a quadretti numerati l’effetto degli esplosivi e ne trasmetteva le coordinate al Comando, accompagnate da altri numeri che indicavano il risultato ottenuto. Continua a leggere

Una vita nelle Trasmissioni

In occasione della giornata mondiale delle telecomunicazioni e della società dell’informazione, è doveroso rivolgere un pensiero di ringraziamento a tutti coloro che si dedicano a questa importantissima attività per il genere umano. Ovviamente anche noi, nel nostro piccolo piccolo, del vecchio Battaglione Trasmissioni, ci sentiamo un po’ partecipi a questa realtà. Ma sappiamo anche che tra noi vi è stato chi nelle Trasmissioni ha trascorso, anche senza stellette, tutta la vita. Ce lo ricorda con le sue memorie l’ex-Sten Mauro Di Giannantonio:

La passione per il mondo delle trasmissioni me la passò mio fratello più grande. Frequentavo le medie nel 1957, quando in estate lui, che aveva frequentato il 3° anno Radiotecnici dell’ITIS di Chieti, cominciò a riparare qualche radio. Le valvole, già a livello visivo mi affascinarono subito; erano componenti attivi dei quali ancora non potevo capire la funzione, ma furono alla base della mia decisione di iscrivermi anch’io all’ITIS. Scelsi ovviamente il corso di Radiotecnica e mi diplomai Perito in Telecomunicazioni con un bel “otto” in Telefonia e Radiotecnica. Arrivò presto la “chiamata alle armi” per la quale, fatta domanda e superati gli esami fui ammesso con gran soddisfazione al Corso AUC nella Scuola Trasmissioni. Fu così che, a differenza di molti coetanei, anche il servizio militare mi permise di restare nella “mia materia” e anzi di ampliarne le conoscenze. Rientrato a casa, il caso volle che io vedessi un telegiornale in cui il Presidente del Consiglio Aldo Moro inaugurava il Centro Spaziale del Fucino; scattò l’idea e feci domanda di assunzione. La risposta non fu immediata ma, ancora fortunatamente, potei rimanere intanto nell’”ambiente” perché fui assunto come insegnante di Radiotecnica dal Centro di Formazione Professionale di Avezzano. E arrivò presto anche il telegramma di convocazione per la selezione di Telespazio. Anche questa prova fu superata brillantemente anche grazie all’esperienza acquisita come ex Ufficiale delle Trasmissioni che mi permise di trattare argomenti ben al di fuori dei programmi scolastici. Ed eccomi assunto come turnista (arco delle 24h e 7 giorni su 7) sugli impianti operativi della Telespazio.Solo chi ne aveva più capacità poteva, durante i turni, effettuare la manutenzione degli apparati ed io cominciai ad avere una predilezione per gli UP-Converter (70 MHz – 6 GHz) e per i Trasmettitori di Potenza a Klystron e TWT (travelling wave tube).
Fui nominato dapprima responsabile dell’Area Trasmittente e, in seguito, dell’intera Area Laboratorio Misure che comprendeva tutta la strumentazione del Centro Spaziale del Fucino.
(nella foto, una lezione sugli accoppiatori direzionali ai ragazzi del 5º anno dell’ITIS di Chieti).
Ricevetti l’incarico di scegliere il sito per la messa in funzione del Centro Spaziale di Scanzano in Sicilia, per cui feci numerose campagne di misure di interferenze presso varie cittadine come S.Giuseppe Jato, Ribera, Avola, Francavilla di Sicilia, Solarino, Noto e Pioppo arrivando però a scartarle per la presenza di interferenze in banda 3700-4200 Mhz non compatibili con il segnale da satellite.
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Spatia devinco, disiuncta coniungo

Vinco le distanze e unisco ciò che è separato… il senso del motto che campeggia nello stemma della Scuola delle Trasmissioni è chiaro. Una bellissima frase che sintetizza la finalità delle trasmissioni, ma che contiene anche un significato più profondo… la comunicazione unisce.
Poi venne la parola “telecomunicazione”, dall’originaria francese télécommunication, composta dal prefisso greco tele (τηλε- “lontano da”) e del latino communicare (“rendere comune”, “condividere”) a descrivere l’attività di trasmissione a lunga distanza di “messaggi” tra un mittente e uno o più destinatari, attraverso un canale fisico di comunicazione.
Oggi il processo comunicativo è analizzato e sviscerato nei suoi elementi fondamentali: il sistema emittente (animale, uomo, macchina); il canale di comunicazione; il contesto di riferimento; il contenuto della comunicazione; il destinatario del messaggio; l’informazione; il codice formale; ecc. ecc, ma nacque da una sola esigenza : far sapere ad altri, distanti, ciò che si era appreso.
Non vi è un periodo storico legato alla sua nascita… e in questo neppure aiuta il Museo Storico della Comunicazione  aperto a Roma nel 1982 dopo un secolo di raccolta di materiale. La cosa però certa è che i maggiori impulsi al suo sviluppo, come per la maggior parte dei progressi umani, fu legata ad esigenze belliche o commerciali.
Gli organi umani preposti a ricevere e trasmettere a distanza sono certamente gli occhi e le orecchie e quindi facile pensare che i primi segnali utilizzati siano stati quelli “acustici” tramite corni, tamburi, ecc. e quelli “visibili”. Tra questi, i segnali di fumo furono i più utilizzati dagli indiani d’America, dagli aborigeni australiani, dagli Yamana e dagli antichi romani nel IV secolo a.C., per comunicare a distanza concetti elementari, come p.es. l’arrivo di un nemico. Di notte al loro posto si usavano segnali luminosi. Nell’antica Grecia, la presa di Troia (1200 a.C. ca) fu resa nota la notte stessa tramite una serie ininterrotta di segnalazioni luminose emesse da appositi “posti di guardia”.
Enea il Tattico, nel 366 a.C., nel corso dei conflitti interni al Peloponneso, inventò un sistema di telecomunicazioni di messaggi preimpostati tramite strumentazione in possesso sia del mittente che del destinatario e Polibio  poi (200 a.C.) inventò la sua “scacchiera” con la quale, mediante l’uso di più torce, riusciva a trasmettere messaggi cifrati… era in pratica una sorta di primordiale telegrafo.
Segnali di fumo e ottici vennero utilizzati anche in Cina dai guardiani della Grande Muraglia (200 a.C. ca), che passando il messaggio da torre a torre, raggiungevano in breve tempo distanze di 750 Km. Continua a leggere

ANGET… caserme… ricerche… ecc…

Si dice che un parametro importante per valutare lo sviluppo di un Paese sia il numero di laureati che produce; è senza dubbio vero perché ad ogni laurea corrisponde la presentazione di una “tesi”, che non è altro che una ricerca approfondita capace di gettare luce su un argomento sconosciuto o di relazionare in modo nuovo più argomenti conosciuti. Ma, fortunatamente, in un paese di alto livello non sono solo gli studenti a dedicare tempo e fatica a questo tipo di attività. Anche tante altre persone, prese da innata curiosità o da profondo interesse e non trovando materiale pubblicato su un certo argomento, vi si dedicano con passione.
E questo è il caso di un nostro giovane (è solo del I° ’72) commilitone che è anche associato ANGET… ma non uno qualunque; ecco la sua presentazione: “…la mia Tessera ANGET l’ebbi in caserma il giorno del congedo -13 aprile 1973- al quale erano presenti alcuni membri della Sezione ANGET di Treviso. In congedo, arriva il mese di nov.’73 e mi segno il promemoria di andare a mandare un vaglia (allora non esistevano i bonifici!!) alla Sez. di Treviso per rinnovare l’adesione; ma, guarda i casi della vita, proprio quel giorno, leggo con stupore sul giornale locale che in città un anziano Colonnello del Genio, Ennio Gallo, vuole ricostituire a Biella la Sezione ANGET che, nata nel 1961, si era sciolta nel 1970. Non ci penso due volte e mi presento da lui. Ebbene, anno dopo anno, non solo ho sempre pagato il “bollino” ma sono entrato nel Consiglio Direttivo, poi eletto Segretario, poi Segretario-Tesoriere, poi Vicepresidente e dal 2010 Presidente della Sezione. I 48 bollini su quella Tessera sono per me un vanto e una soddisfazione“. Oggi anche l’ANGET è entrata a far parte della grande famiglia della Protezione Civile e l’opuscolo descrittivo (che si può scaricare qui) recita: ”.. L’ANGET è una Associazione d’Arma e di volontariato per la Protezione civile e per interventi umanitari anche all’estero, aperta a tutti coloro che hanno prestato, o prestano, servizio in reparti ed organismi del Genio e delle Trasmissioni.… è apolitica e apartitica, è senza fini di lucro ed ha lo scopo di mantenere vivo il senso di solidarietà tra i militari in congedo e quelli in servizio, nel culto dell’ideale della Patria e nella esaltazione dei valori e delle tradizioni del Genio e delle Trasmissioni”.
Ma torniamo al nostro commilitone… si sa che il massimo riconoscimento cui aspira ogni estensore di ricerche è di vederne la pubblicazione ossia di rendere partecipe del proprio impegno l’intera comunità interessata all’argomento trattato. Ebbene, il nostro commilitone è oggi orgoglioso di presentare un proprio lavoro dal titolo:
LE CASERME IN ITALIA – Attive e Dismesse”.
Qualcuno potrebbe pensare che il Ministero della Difesa abbia già a disposizione un elenco analogo anche perché il Federalismo Demaniale aveva reso indispensabile tale “inventario”, ma il lavoro qui esposto, costato oltre due anni di pazienti ricerche, è completato sia dal nome della caserma che di tutti i corpi militari che in quelle quasi 900 piazzeforti ci lavorano, o lavorarono. COMPLIMENTI e… ad majora!

ecco qua… OPR in azione!

Una abbastanza rara documentazione delle attività durante le esercitazioni… questo sì che è un ponte radio serio…
…forti degli studi e delle esperienze maturate alla Scuola di Trasmissioni della Cecchignola, nel marzo del 1973, fuori dalla cinta della caserma Vinicio Lago di Jalmicco, la squadra di pontieri folgorini, tra i quali il reporter CM Rivetti (con i suoi appunti sui trasmettitori T14 -14 valvole- e i ricevitori R19 -19 valvole) mette in piedi un ponte radio con l’antenna a 4 stadi da 12mt (“Mx144” – precisa subito il caposquadra Serg. Berin) e con tanto di trasmettitore, ricevitore e terminale telefonico (“ANTRC1 – MX155 – TEL EE8B”… è questa volta anticipato dal Serg.Magg. Minasola)… ma manca ancora un piccolo, fondamentale particolare…… quei quarzi, che saranno come sempre forniti solo dal mitico M.llo Bigini.