…ma io volevo andare in Aeronautica!!

… e invece son finito alla De Dominicis!
Già prima della sofferta fine delle scuole medie, avevo scoperto la mia passione per l’aeronautica e per questo, nonostante la dura iniziale opposizione dei genitori riuscii a farmi iscrivere all’ Istituto Tecnico per Periti Aeronautici di Pisa e a luglio del ’66 ne uscii con il “Diploma di Perito Capotecnico per le Costruzioni Aeronautiche” e pure con la “Menzione onorevole di Secondo Grado” consegnatami dal preside.
Da tempo frullava dentro di me una tremenda passione per tutto quello che si librava nell’aria, dalle farfalle agli aquiloni, agli aeromodelli, ai jet e quindi con entusiasmo spedii subito domanda di assunzione a tutte le possibili ditte del campo aeronautico…. Fiat Avio, Aeronautica Macchi, Siai Marchetti, Agusta elicotteri, ecc.. e financo alla Ferrari Automobili.
E, come per tanti giovani diplomati di allora, mi arrivò la doccia fredda… le ditte da poco erano state obbligate per legge a mantenere il posto di lavoro ai giovani assunti anche per la durata del loro periodo di leva, … motivo per il quale, tutte, in quegli anni, assumevano solo “militassolti”!
Avevo già fatto la “tre giorni” di visita al distretto militare di Firenze ed ero stato dichiarato “abile e arruolato” e, per strana ispirazione del tenente esaminatore finale, adatto per le “Trasmissioni”.
Ma dell’Esercito io non ne volevo sapere… io volevo, e dovevo, entrare in Aeronautica!
Venni a sapere di un concorso per un centinaio di posti per A.U.C. nel Genio Aeronautico; i vincitori avrebbero subito frequentato un corso di tre mesi alla Scuola di Guerra Aerea, sita nel Parco delle Cascine di Firenze… oplà.. a un passo da casa!
Il concorso era riservato a diplomati con titoli preferenziali per diploma di perito aeronautico, possesso di brevetto di pilotaggio, frequenza di corsi aeronautici, attestazione di aeromodellista, ecc.
Diploma.. l’avevo; Attestato… l’avevo.. infatti, nell’estate del quarto anno di istituto avevo partecipato a una “settimana di cultura aeronautica” di propaganda nelle scuole organizzata dall’Aeronautica Militare all’aeroporto di Gorizia; il corso prevedeva anche il pilotaggio di un velivolo da turismo e ne avevo ricevuto l’attestato!! … Aeromodellista… lo ero… con tanto di tessera FAI (Fédération Aéronatique International) e una bella lettera di presentazione del presidente GAE (Gruppo Aeromodellistico Empolese).
Boom… avevo tutte le carte in regola.. sembrava essere l’occasione della vita e mi affrettai perciò a fare la mia brava domanda allegando tutto quello che poteva servire ad alzare il mio punteggio.
Ero contento come una Pasqua quando mi arrivò la lettera di convocazione per la visita medica alla caserma dell’aeronautica di Piazza Novelli a Milano e, avendo già passato la selezione di Firenze, mi presentai estremamente fiducioso.
Di nuovo, mi fecero spogliare, mi pesarono, mi misurarono, mi ascoltarono il cuore, mi interrogarono per sapere il perché e il percome… e poi mi chiamarono alla visita oculistica.
Il colonnello medico mi fece togliere gli occhiali, cominciò il test, mi guardò dentro la retina, mi guardò e riguardò. Poi mi disse di rimettermi gli occhiali. Si mise alla scrivania, cominciò a scrivere e poi mi porse un foglio…. “Occhio destro con visus inferiore di un decimo a quello consentito. Risultato: Non idoneo!
Ma come?!? E’ vero, io portavo gli occhiali fin da piccolo per una leggera miopia ma la selezione era per il Genio Aeronautico… non dovevo mica fare il pilota!! Certo quelli dovevano essere perfetti!!
Mentalmente lo maledissi con tutte le mie forze ma non ci fu niente da fare. Il verdetto era stato pronunciato!
Tornai a casa con la coda fra le gambe e, con l’ultima speranza prima della disperazione, feci domanda come soldato semplice in aeronautica.
La “cartolina” arrivò a maggio del ’67: Presentarsi al C.A.R. della Caserma Giannettino a Trapani!!
Non me ne vorranno i commilitoni trapanesi ma, per me, posto più lontano da casa non ci poteva essere e poi giugno e luglio quell’anno a Trapani con temperatura costante sui 40°/42° e, ancor peggio, la carenza di acqua. In televisione, se parlavano del trapanese, facevano vedere gente che si faceva la barba con la gazzosa. L’acqua in caserma, razionata, veniva portata di notte con autocisterna.
Naturalmente quando facevamo esercitazioni ginniche, si facevano a torso nudo e quando eravamo sudati, “SCHIENA A TERRA, GAMBE IN ALTO!” poi “PANCIA A TERRA! 10 FLESSIONI!”
Ovviamente il campo sportivo dove si faceva questo non aveva un filo d’erba, ma una coltre di polvere finissima come il borotalco. Quando ci rialzavamo eravamo infarinati come pesci da friggere. E niente docce… e non parliamo dell’igiene di cucine e gabinetti!! Sicuramente per noi funzionò la famosa “puntura” protettiva. Un bel allenamento per la guerra d’Africa! Continua a leggere

L’ultimo leone della Folgore!

Il 6 Aprile 2023 si è spento a Galatina l’ultimo leone della Folgore, Antonio Ancora: il caporale del 185° Rgt Artiglieria Paracadutisti della Divisione Folgore; il 9 Aprile avrebbe compiuto 102 anni.   Anche l’ultimo Folgorino delle origini ci ha lasciato… ma resta il ricordo di quelle gesta e di quegli uomini, che furono sicuramente tra i migliori soldati mai espressi dalle forze armate italiane.
Non c’era solo la Folgore a El Alamein ma l’eccezionalità di alcuni reparti e la cassa di risonanza delle loro gesta hanno, di fatto messo un poco in ombra quelli che combatterono accanto a loro. Non dimenticheremo certo gli altri nostri soldati che si sacrificarono nella sabbia insanguinata del deserto egiziano: L’Ariete e la Trento, la Trieste, la Brescia, la Pavia, la Bologna, la Littorio, ecc.. e ben sappiamo che nessuno dei reparti citati fu messo in grado di combattere almeno quasi ad armi pari contro l’Ottava Armata britannica: mancavano mezzi, benzina, cannoni controcarro, aeroplani e perfino l’acqua. Il Mediterraneo, altro che “Mare Nostrum”… ci era stato progressivamente precluso dagli inglesi e con esso le nostre linee di vitale rifornimento verso l’Africa.

In breve, come si svolsero i fatti che coinvolsero infine anche la Folgore:
Alla fine di marzo del 1941, completato l’arrivo dell’Afrikakorps e riorganizzate le divisioni italiane, Rommel, nuovo capo del corpo d’armata, iniziò le operazioni in Cirenaica riconquistando una ad una tutte le città e le postazioni perse nell’anno precedente dagli italiani, Dopo un’avanzata travolgente, esauritasi la spinta offensiva, le forze italo-tedesche si erano arrestate, nel giugno del 1942, di fronte all’ultima, ma ben predisposta linea difensiva britannica, che correndo dalla vasta depressione di El Qattara al mare, costringeva la direttrice di marcia verso Alessandria in una strettoia di una sessantina di chilometri… l’ideale per arroccarsi dietro una distesa di campi minati. Rommel, a corto di energie ma seguendo la sua idea di battaglia dinamica, il 1°luglio attaccò in netta inferiorità materiale ma prima della fine del mese era già chiaro il fallimento del tentativo.
A fine luglio viene sbarcata a Derna, in Libia, anche la Folgore, composta da quasi 5000 uomini, che aveva però ricevuto un addestramento di mesi per la conquista, con aviolancio, di Malta (e magari si fosse perseguito quell’obbiettivo, anziché abbandonarlo!); questa lascia tutto il materiale di lancio e, ovviamente sprovvista di adeguati mezzi di trasporto, viene subito spedita come semplice fanteria a 750 km a presidiare il lato sud di El Qattara.

Rommel, benché avesse ricevuto inadeguati rinforzi, ci riprovò tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, con quella che sarebbe stata chiamata la battaglia di Alam Halfa (o seconda di El Alamein); anche questo secondo tentativo fallì e fu subito chiaro che, a quel punto, alle esauste truppe italo-tedesche non rimaneva che attendere la sicura controffensiva nemica.
La campagna in Africa Settentrionale  era stata un continuo andirivieni, lungo la via Balbia, tra l’Egitto e la Tripolitania, a seconda del successo di uno o dell’altro contendente, fino alla grande battaglia dell’ottobre 1942: e questa volta non ci fu andirivieni, perché lo slancio inglese si fermò solo in Tunisia, mentre gli americani cominciavano ad affluire in Marocco.
Italiani e Tedeschi, che, aggiungendo altri campi minati a quelli inglesi avevano trasformato il deserto egiziano in una trappola che ancora oggi miete vittime (oltre mezzo milione di mine), attesero che l’Impero scaricasse su di loro il proprio enorme potenziale messo a disposizione del nuovo comandante dell’Ottava Armata, Generale Montgomery.
L’operazione “Lightfoot” iniziò alle 21,40 del 23 ottobre 1942, quando un migliaio di pezzi d’artiglieria di ogni calibro iniziò a tempestare le linee difensive dell’Asse… trincee, ridotte e tane di volpe, scavate nella sabbia. Questo martellamento servì a indebolire decisamente le capacità di resistenza dei difensori e il colpo risolutivo venne con la successiva operazione “Supercharge” in cui le inesauribili riserve di Montgomery lanciarono un attacco in massa.
Nelle prime ore del 2 novembre, 800 carri britannici (300 erano Sherman americani) mossero contro le nostre linee: dopo 24 ore dall’inizio dell’attacco il nostro comando ne poteva schierare in tutto 35. La battaglia era persa e Rommel la sera del 4 novembre ordinò la ritirata revocando il folle ordine di Hitler di resistere che aveva, di fatto, condannato interi reparti alla distruzione.


Tra tutti i difensori di El Alamein, che caparbiamente resistettero fino alla fine contro forze enormemente superiori, si distinse, senza dubbio, la Divisione Folgore.
A El Alamein, la Folgore ebbe il suo gloriosissimo battesimo del fuoco e, al contempo, fu distrutta, consumata in un’insensata resistenza, a colpi di contrassalti e di bombe molotov, contro i carri inglesi da trenta tonnellate. Fu incenerito così uno dei migliori reparti che si fossero visti nei due conflitti mondiali: eredi degli Arditi di Sdricca di Manzano, eccezionalmente addestrati e motivati. Aldilà della gloria e dell’esempio di amor patrio, quell’impegno si rivelò un terribile spreco della migliore gioventù italiana. Ne rimangono, a perenne memoria, il sacrario di Quota 33, voluto dal grande Caccia Dominioni, Colonnello del Genio Guastatori, e il severo deserto egiziano, che restituisce ancora oggi cimeli della battaglia e resti di caduti.
Ma, più ancora, rimane il nostro dovere di ricordare questo sacrificio eroico, soprattutto oggi, che ne è scomparso anche l’ultimo testimone diretto.
Cieli blu, Caporale Ancora!

1942 – l’ULTIMO COLPO della FOLGORE!

L’ARTIGLIERE PARACADUTISTA BRUNO DE CAMILLIS – LEONE DI EL ALAMEIN
Bruno De Camillis nasce in Eritrea nel 1919 dove il padre era governatore ad Asmara,rientrato ancora fanciullo in Italia si arruola nella nascente Divisione Folgore con il grado di tenente paracadutista, controcarrista, inquadrato nel 186° Rgt che fu operativo sulla linea di El Alamein.
PERCHE’ FU CHIAMATO “ULTIMO COLPO” Il soprannome se lo guadagnò durante l’operazione di ripiegamento dalla linea di El Alamein. Caduto il comandante della sua compagnia ne assunse il comando e con caparbia ostinazione, quella che fu di tutta l’eroica Divisione, trascinò con i suoi sottoposti, il pezzo anticarro e 3 granate. La mattina del 6 novembre, rimasto ormai solo essendo gli altri caduti e circondato dalle truppe nemiche, sparò questi ultimi colpi centrando un Breen-Carrier… e questi furono gli ultimi colpi della gloriosa Folgore.
Per questa azione, nella quale dimostrò una grande volontà combattiva e un elevato spirito di sacrificio, si guadagnò la seconda medaglia d’argento al valore militare.
ERA UN INGEGNERE DI ALTO PROFILO
Abitava a Savona ma era un personaggio piuttosto schivo e poco propenso a rivangare il passato (perfino i paracadutisti savonesi non sapevano di avere un concittadino di simile statura) ma nella vita civile era ingegnere e anche nella sua professione si è fatto onore. Infatti, dopo gli anni di prigionia, aveva progettato il porto nelle acque profonde di Mogadiscio e il porto atlantico di Mohammedia in Marocco. Per quest’ultimo lavoro venne insignito dell’onorificenza “Officier de l’Ordre Wissan Alaoulite” del Marocco, rilasciata personalmente da Re Hassan, attestante “l’impeccabile realizzazione” e ricevette nel 1986 il “Premio Grande Fiera di Milano” poiché la progettazione del Porto di Mohammedia rappresenta un “esemplare di realizzazione all’estero di una grande opera italiana“.
“CAPIVA” CHI SAREBBE MORTO L’INDOMANI
Marzio Breda sul Corriere della Sera riporta un’intervista fattagli il 1°marzo 2002 chiedendogli: “…che faccia ha un soldato che va a sfidare la bella morte? E’ vero che ha una strana luce dentro per cui si intuisce ciò che gli capiterà?” La risposta fu: “ Quelli che non ce l’avrebbero fatta li vedevi la sera prima… gli diventava il naso sottile e le orecchie di carta velina, trasparenti, diventavano agitati, febbrili…ma, per quanto incredibile, senza paura… e io avrò sempre impresso il volto dei miei compagni della sera prima che cadessero…”.
A Savona, Il 13 giugno del 2011 “Ultimo Colpo” Bruno De Camillis ci ha lasciati… e nell’adunata eterna della Folgore, li ha ritrovati.

Preso dal Gruppo Congedati Folgore: articolo e video di Fabio Camignani

Ancora un bentornato nei ranghi…

Bentornato nei ranghi Tenente Medico Luciano Cardelli
..benché sia nel frattempo diventato un importante direttore di una famosa Casa di Cura, il suo “spirito” aleggia ancora nella nostra De Do e nei ricordi di coloro che lo conobbero negli anni ’68/’70 e non solo di coloro che con lui collaborarono, come il bravo Enzo Canciani, ma anche di chi, per qualche motivo, gli è riconoscente… come ci racconta uno dei nostri “storici” Paolo Fanciullacci:
“Erano i tempi in cui imperversava Petrus l’Amarissimo (al secolo T.Col. Omero Petricci) che ai tempi non mostrava gran comprensione per noi giovani di leva. Fu lui che, per un fattaccio che vi racconterò in appendice, mi rifilò, urlando come un ossesso e sputando dappertutto veleno e saliva, ben 10 giorni di CPR *(vedi nota).
Ma in quella cella, in cui mi spediva, mancava pure il vetro al finestrino e faceva un freddo cane e in quel periodo, di notte, il termometro arrivava a -7°!! Passati alcuni giorni però, richiamato da una mia richiesta di marcar visita (suggeritami da uno smaliziato capoposto), ecco il provvidenziale intervento del nostro Tenente Medico… la cella viene dichiarata “inagibile”!! Io vengo ricoverato in infermeria e lì concludo la “condanna” al calduccio ed evitando pure di partecipare alle esercitazioni.
Grazie ancora Signor Tenente!!”

* C.P.R. = Camera di Punizione di Rigore. Si entrava in cella senza cinghia, senza lacci delle scarpe, con una sola coperta e accompagnati da una guardia con fucile e baionetta in canna. Si dormiva su un tavolaccio inclinato di una decina di gradi dalla testa ai piedi. Se ci si addormentava e si rigirava nel sonno, piano piano ci si ritrovava con i polpacci fuori del tavolaccio. E la punizione veniva anche condivisa dal Corpo di Guardia visto che gli toccava un servizio in più e un commilitone sarebbe dovuto rimanere 24 ore su 24, baionetta in canna, all’esterno della cella buscandosi ancor più freddo dell’internato. I giorni di CPR si scontavano poi a fine leva poiché rinviavano, dello stesso numero, il congedo.

Appendice: Ma cosa avevo combinato per meritarmi quella punizione? Ecco qua:
Eravamo stati scelti in tre per andare a Roma alla RAI in via Asiago per una trasmissione radiofonica per le Forze Armate. Era una trasmissione a quiz condotta dal famoso Silvio Gigli cui avrebbero partecipato tre marinai, tre avieri e tre soldati dell’esercito.
Eravamo stati alloggiati nell’antica caserma Macao, non lontano dalla stazione Termini e, dopo la partecipazione alla trasmissione, ci sarebbe rimasto un giorno libero prima di rientrare. E fu dopo la trasmissione che decisi… prendere subito il treno per Firenze, passare del tempo a casa (Empoli) e poi riprendere a Firenze il treno del rientro sul quale avrei ritrovato i commilitoni provenienti da Roma… detto e fatto… avvertii i miei compagni e via…
Ma acc… quella sera stessa alla Macao qualcuno si accorse di questa “fuga”. E così, da poco giunto a casa dei miei, arrivò una telefonata dal sergente, che ci accompagnava, con la quale mi sollecitava a ritornare immediatamente a Roma perché, nel caso avessi superato le 24 ore di “fuga” mi avrebbero considerato DISERTORE!! Arrivai appena in tempo alla Macao e trovai un pieno di carabinieri, di ufficiali con stellette che sembrava un firmamento e il comandante della caserma che lanciava oscure minacce. Dopo lo shampoo potemmo di corsa prendere il treno verso Treviso. La mattina seguente l’altoparlante della De Dominicis avvertiva che il trasmettitore Fanciullacci Paolo era atteso nell’ufficio del colonnello comandante…. E il resto lo sapete..

…e tra i ricordi di una vita..

A quei tempi si era stati tutti “nonni”… e sembrava di essere ormai “vecchi”!! Ma quanta acqua doveva passare sotto i ponti prima che diventassimo padri e poi nonni “veri”! Sicuramente in tanti si sono dati da fare per la propria famiglia, per i figli e nipoti, più che per sé stessi e certamente a molti è capitato di pensare che, altrettanto importante era trasmettere le proprie esperienze e, perché no, anche semplicemente i propri ricordi.
Certo, far sapere ai giovani come hanno vissuto i loro nonni e i nonni dei loro nonni è un modo di dar loro una prospettiva che nessuna scuola è in grado di dare… e non la vita di personaggi importanti, di cui sono pieni i libri di storia, o di quelli le cui ricorrenze vengono celebrate ogni anno. Ha un grande valore anche la vita di persone qualsiasi, anonime, che hanno attraversato gioie e dolori e affrontato problemi giorno per giorno. Per ognuna di queste è una storia diversa… milioni di storie uniche per le quali non basterebbero le biblioteche di tutto il mondo!! E con questo spirito che l’“ex-folgorino”, Nino Paddeu, marconista del 3°/63 e tosto sassarese, si è messo un giorno a scrivere, a raccontare… e ne è venuto fuori un libro!!
Paddeu - libro 1Mi è sempre piaciuta l’idea di far sapere un po’ ai giovani come si svolgeva la vita anni addietro e proprio in un momento in cui le cose cambiano tanto rapidamente. Forse fu per questo che alcuni anni fa cominciai, senza rendermene ben conto, a raccontare un po’ per volta ai figli, ancora piccoli, dei miei ricordi che, mi rendevo conto, andavano sempre più affievolendosi. Debbo dire che fortunatamente la natura mi ha dotato di un carattere abbastanza allegro che mi ha permesso tante volte nella vita di vedere i lati positivi e financo spiritosi delle situazioni anche più spiacevoli; e questo, che credo essere un fatto molto positivo, penso di essere riuscito a trasmetterlo ai miei primi ascoltatori. Ciò, mi è stato fatto notare, emerge anche dalle pagine del libro, che dai racconti ha preso forma e che, dal numero di copie vendute, risulta essere stato gradito anche ai successivi lettori. Nel libro ha trovato un piccolo spazio anche il periodo della leva militare che fu, come per molti della mia generazione, un periodo senz’altro importante della giovinezza…
Paddeu - libro 2

Successe a quel campo estivo a Travesio…

Giugno ’68, campo estivo a Travesio, manovre combinate di Divisione quindi anche con gli ex-parà del 183° Rgt. Nembo e poi con i carri dell’Ariete e anche con l’aviazione della NATO.
Il nostro gruppo di radiotelegrafisti si trovava alloggiato in una vecchia fornace e a dir la verità, fu per me era una vera pacchia. Servizio tranquillo, ottimi rapporti con il sergente (mi pare fosse di Asiago), libera uscita senza contrappelli e tanta sensazione di “borghesia” visto che anche in paese, per il via vai di soldati e ufficiali, non si badava tanto ai regolamenti.
Caldo pomeriggio di domenica… io e due commilitoni, tornando alla fornace, passiamo davanti a un bar dove, seduti ai tavolini esterni, se ne stava un gruppo di ufficiali in relax; un colonnello aveva financo un cane lupo accucciato accanto alla sua sedia…
Noi passiamo via senza alcun saluto regolamentare…. anche perché avremmo dovuto tener la mano al berretto per una ventina di metri… tipo parata e ben sapendo che a nessuno di quelli, ai quali sarebbe stato rivolto, sarebbe interessato; cosicché quando, poco dopo incrociammo un maresciallo di un altro reparto, che non conoscevamo affatto, anche lì, tirammo dritto senza salutare…
– Ehi! Voi! – lo sentimmo però chiamare.
– E vai.. ci siamo – pensai, e poi dissi ai miei amici – …lasciate fare a me.
Mi era venuta l’idea di provare ad applicare alla lettera gli insegnamenti del CAR di Trapani: presentarsi e rispondere, se interrogati, ad alta voce. Corsi allora verso di lui, mi fermai sull’attenti ai tre passi regolamentari e, con quanto fiato avevo in gola (come dovessero sentirmi a un chilometro di distanza), urlai:
– COMANDI SIGNOR MARESCIALLO!!!
A quel punto vidi il maresciallo, già imbarazzato, lanciare occhiate verso gli ufficiali che, sentito l’urlo, si erano tutti girati incuriositi verso di noi e pronti a godersi uno spettacolo.
A quel punto, il maresciallo, parlando piano mi disse:
– Come mai non mi avete salutato?
Io, sorprendendolo, urlai ancora più forte:
– NON L’AVEVAMO VISTA SIGNOR MARESCIALLO!!!
E lui, ancora più imbarazzato… ma ancora più piano per cercare di smorzare:
– Come no? Tu in particolare mi hai guardato negli occhi…
Ma io, sempre urlando:
– L’HO GUARDATA NEGLI OCCHI MA NON GLI HO GUARDATO SULLE SPALLE SIGNOR MARESCIALLO!!
Cominciarono a sentirsi un sottofondo di sghignazzamenti e risatine provenienti dal non lontano “firmamento di stellette”.
Il maresciallo, non sapendo come uscirne, tirò fuori un foglietto e una penna:
– Come ti chiami? –
E io, sempre urlando più che potevo:
-TRASMETTITORE FANCIULLACCI PAOLO, PRIMA COMPAGNIA, BATTAGLIONE TRASMISSIONI FOLGORE, TREVISO!!! COMANDI SIGNOR MARESCIALLO!!!
Il maresciallo, ormai paonazzo, scribacchiò qualcosa e poi mi disse:
– Vai! Puoi andare! Considerati punito!
– SIGNORSI’ SIGNOR MARESCIALLO!!!
Mi voltai di scatto, battei lo scarpone a terra e, con passo risoluto (ma strizzando l’occhio) mi avviai verso i commilitoni che mi aspettavano.
Avevamo fatto poi solo pochi passi quando mi sentii di nuovo chiamare… ma questa volta era il tenente Pallottini, quell’anima lunga, che era stato, anche lui tra gli altri sulla porta del bar, a godersi la scena.
Benchè mi sembrasse allegro, non avrei potuto immaginare la sua reazione… ed ecco che, ci fa entrare nel bar e, allargandosi in un bel sorrisone, mi stringe la mano, mi fa i complimenti per il perfetto comportamento e poi ci offre pure da bere!! …e questo anche perché, come venni poi a sapere, proprio quel maresciallo, un vero “fetuso”, stava sulle palle un po’ a tutti, ufficiali compresi.
E per quell’episodio divenni anche famoso a Travesio…. Una sera, mentre rientravamo al campo, in periferia del paese, sentii chiamare da un gruppetto di tre allegre ragazze:
– Buona sera Fanzullazzi!
– Ehi.. com’è che sapete come mi chiamo? – domandai.
– Ma se lo sa tutto il paese da come l’hai urlato al maresciallo!
E fu così che facemmo amicizia… ecc., ecc.
Ah.. a proposito della punizione… almeno questa, non arrivò mai!
E a proposito del Tenente Pallottini… era fatto così… un duro se serviva ma un commilitone se si poteva. E ho saputo che ha fatto da poco gli 80… Auguri al Generale… e a tutti i Folgorini!!

Paolo Fanciullacci, 2°/67 – Btg Trs Folgore, 1ª Compagnia, Marconista.  (…e “ragazzaccio” -n.d.r.)

Alessandro Tandura e la nascita di un mito

Se ne parlò in un altro articolo a proposito della nascita del paracadutismo in Italia, ma la vicenda, raccontata in prima persona dal primo paracadutista (e sabotatore) è veramente “umana” e stupefacente…impressionante immaginarsi in quei panni!!
Più di 100 anni fa avveniva il lancio del primo soldato paracadutato dietro le linee nemiche per una missione di raccolta informazioni e sabotaggio.
Quella notte tra l’8 e il 9 agosto 1918, infuriava un temporale, che fece smarrire la rotta all’equipaggio; Alessandro Tandura, seduto su di uno scomodo sedile ribaltabile, collocato di spalle all’equipaggio, con una fune legata sulla schiena a collegarlo al paracadute, situato in uno scomparto sotto la fusoliera, non può fare altro che attendere il momento nel quale il pilota tirerà una leva, aprendo una botola dalla quale egli cadrà nel vuoto: e solo allora potrà scoprire se il paracadute funzionerà… Giunti in prossimità di quella che credono essere la zona di lancio – in realtà hanno deviato di parecchio e stanno sorvolando le colline a San Martino di Colle Umberto – il Maggiore Barker raggiunge la quota prestabilita di 1500 metri e tira la leva, facendo precipitare Tandura nel buio. Le emozioni debbono essere infinite, come egli stesso più tardi racconterà:
Le orecchie sono straziate da un sibilo che mi devasta il cervello. L’incubo dei sogni orribili! Ma subito ho l’impressione di essere sollevato, di tornare in su. Alzo gli occhi e vedo il paracadute aperto. La pioggia mi sferza il viso. Oso guardare in basso e vedo strade e campi che riddano in un ‘altalena infernale. Mi smarrisco, perdo i sensi … È un attimo: ad un tratto, colpito fortemente al petto, mi trovo a terra, con le gambe all’aria. Lanciato nel vuoto da circa 1500 metri di altezza ero caduto in un vigneto, mentre infuriava il temporale”.

..il treno dei ricordi ferma spesso in stazioni… radio

I nostri marconisti “veterani” dovrebbero ricordarsela bene… era l’apparato usato per eccellenza: il trasmettitore BC 191 del complesso stazione radio SCR 193 onde corte… e quando la radio funzionava anche da stufetta…
Normalmente il trasmettitore BC 191 lo si trovava alloggiato in un cassone di legno, con delle particolari “gambe”, e con l’alimentatore tipo survoltore BD 77, ed il ricevitore BC 312, nella versione campale. Ricorderanno i nostri eroici marconisti anche che l’alimentazione era fornita da due accumulatori, collegati in serie, da 6V/200Ah e collegati in tampone con un groppo elettrogeno che era il PE 75.
Il complesso stazione radio SCR 193 veniva poi solitamente montata su un mezzo, l’OM CL 51 autoradio “..il porcellino”, ma era anche, per esempio, montata presso la Sala Radio del Centro Trasmissioni del Comando di Divisione a Villa Margherita ed assicurava i collegamenti con tutti i vari Reggimenti della Divisione e il Corpo d’Armata.
Veniva usato in “CW” e il segnale trasmesso sentito in autocontrollo aveva un suono inconfondibile… quando si accordava l’antenna si sentiva l’alimentatore andare sotto sforzo mentre, quando non era accordata l’antenna, i grossi tubi VT 4C con placca in grafite.. diventavano rossi e incandescenti tipo stufetta a infrarosso e una luce blu di fasci elettronici trattenuti illuminava ..la scena…
La frequenza, utilizzando le diverse unità di sintonia intercambiabili, andava da 1,5 a 6,2 Mhz modulati in ampiezza e la potenza in uscita, in CW, poteva raggiungere la ragguardevole soglia di 75 W per portare i segnali, da fermo, a più di 90 km. In dotazione, qualcuno ricorderà, c’era anche una antenna fittizia e anche che, per il controllo della frequenza, si usava un frequenzimetro a battimento tipo BC 221.
E tante sul campo erano le esercitazioni; ma una volta, e il ricordo è indelebile, questi apparati furono usati dal Battaglione anche per una grave emergenza… l’alluvione del 4 novembre 1966 durante la quale le necessarie comunicazioni tra i Reparti spediti in soccorso usarono anche queste stazioni… ma questa è un’altra storia…

da “”C’ero anch’io” di Luciano Marchi… (segue)

4 Novembre… quello che non si dimentica

Il 4 Novembre è la Giornata delle Forze Armate e per questo, in quel giorno del 1966, il nostro Battaglione era in festa e vari equipaggi di marconisti e pontisti con relativi apparati si trovavano alla caserma Cadorin per la manifestazione “caserme aperte” e mostrare alla popolazione le nostre capacità.
Ma quella è anche la data dell’inizio dell’alluvione in Veneto; una data che diede l’avvio a un periodo difficile da dimenticare e duro anche per i militari della nostra DeDo. Da qualche giorno, è vero, eravamo interessati da scrosci di pioggia consistenti ma al chiuso delle mura non ci si poteva certo rendere conto della situazione che nella regione si veniva a creare.
Io, Sergente di primo pelo, quel giorno ero di servizio come Sott.le d’Ispezione; Uff. di Giornata era il M.llo Di Grazia e il Comandante del Btg. era il Ten.Col. Mario Celentano.
Le prime avvisaglie… In mattinata ricevo l’ordine di portare uno dei G.E. da 10 Kw, montato su biga PE95, a Villa Margherita sistemandolo presso la cabina elettrica e pronto ad essere agevolmente collegato in caso di interruzione della rete del Comando di Divisione; verso le 14.00 il Comandante emette l’ordine di sospendere la libera uscita e di preparare una camerata per ospitare un Reparto del Btg Genio Folgore, che sarebbe presto arrivato e destinato a prestar soccorso nel territorio. Intanto il telefono con il Comando di Divisione era diventato bollente per le continue richieste di informazioni su materiali disponibili in caserma, dalle tende alle coperte ai mezzi, ecc… Nel pomeriggio vengo nuovamente spedito al Comando Divisione per montare un telecomando tra Sala Radio e Ufficio del Generale Oreste Viligiardi.
A quel punto eravamo già tutti fradici e ben allarmati (ma dei Genieri nessuna notizia) e in apprensione perché giungevano notizie della rotta del Tagliamento, del Piave, di allagamenti e strade interrotte…
Verso le 19.00, e si sa che a Novembre il buio scende presto, arriva in caserma, dopo mille peripezie, la colonna di camion del Genio con gommoni, pompe, ecc… I commilitoni mangiano un boccone di corsa e ripartono per la zona tra il Piave e il Livenza… La caserma resta in allarme tutta la notte con un susseguirsi di ordini e contrordini, mentre la pioggia non accenna a diminuire, e a notte fonda, come ricordato dal Ten. Spagnolo della 2ª Comp. nel suo racconto, anche i nostri camion ben caricati con apparati (ecco il ns. SCR 193 ma anche ponti radio, km e km di cavi, tende, cucine da campo, ecc.) partono per la zona di Latisana.
Per me vi era una preoccupazione in più per il fatto che il mio Comune di residenza, Predazzo (Tn) in Val di Fiemme, risultava nell’elenco delle zone alluvionate. Mi sorprese, nel frangente, l’arrivo di un dispaccio secondo il quale veniva concessa una licenza straordinaria a tutti, Ufficiali, Sott.li e Truppa, che fossero residenti in quelle zone elencate, cosicché, al mattino del giorno successivo partii per una licenza di 10gg. Mi ritrovai con i commilitoni quando, dopo circa un mese, furono tutti rientrati, stravolti dalla fatica.

da “”C’ero anch’io” di Luciano Marchi… (segue)

…e c’ero anch’io!!

La mia carriera nell’Esercito è iniziata a 17 anni, nel Novembre 1964, quando, terminati gli studi presso il Professionale ENAIP per Elettromeccanici di Predazzo e, fatta la relativa domanda, partii per l’arruolamento volontario come Allievo Sott’Ufficiale.
Superati gli esami di ammissione, mi ritrovai inquadrato nel Battaglione Allievi Sott.li Specializzati della Scuola ASS, nella caserma Rebeggiani di Chieti Scalo, per frequentare il Corso Addestramento Reclute.
Al termine di questo corso, della durata di 4 mesi, si ricevevano i gradi di caporale e si veniva trasferiti alle diverse Scuole di Specializzazione sparse in Italia. Venne accolta allora la mia preferenza espressa e quindi indirizzato alla Scuola Trasmissioni di Roma Cecchignola, Caserma Perotti, per il Corso Radiomontatori, che avrebbe portato all’incarico nell’E.I. denominato n. 56. Al termine di questo percorso, durato nove mesi, avendo conseguito il Brevetto di Specializzazione qualificandomi primo del corso, ebbi l’opportunità di scegliere la destinazione di impiego.
Fra le varie possibilità prospettate vi era, a Treviso, il “Battaglione Trasmissioni Folgore”… non ebbi dubbi nella scelta sia per l’emozione che il solo nome suscitava sia per il motivo di vanto che il solo indossarne le mostrine rivestiva nell’immaginario di noi tutti giovani; ma vi era anche un motivo più “pratico” essendo che, logisticamente, la caserma si sarebbe trovata a pochi chilometri dall’abitazione della mia famiglia, alla quale restavo comunque molto affezionato.
Una famiglia di brava gente, semplice, originaria di Cimadolmo (Tv), sulla riva sinistra del Piave, impegnata da generazioni nell’organizzazione della lavorazione del vimini che, raccolto nell’alveo del fiume, veniva lavorato, intrecciato e commercializzato anche all’estero dando lavoro a molte persone del paese… fino all’arrivo della plastica.
Per motivi di lavoro, si erano poi fatti dei trasferimenti (tra i quali 4 anni a Genova) ma dal 1956 (io avevo allora 11 anni essendo nato il 24 agosto 1947) si era stabilita a Predazzo. E lì già risiedeva quando, nell’ottobre 1965, arrivai come Caporal Maggiore ASS alla nostra De Dominicis.
Il Comandante del Battaglione, Ten. Col. Mario Celentano, mi assegnò alla 1° Compagnia, comandata dal Cap. Giancarlo Parentelli, il quale, praticamente subito, mi affidò alle “amorevoli cure” del M.llo Magg. Vignaduzzo e del Serg. Magg. Palmieri, allora responsabili del Laboratorio Radio.
Ma già pochi mesi dopo, per il completamento della formazione di Sott.le, un altro trasferimento e, questa volta. alla Scuola ASS di Rieti per un corso di circa 4 mesi, con esami finali, per tornare alla DeDo in attesa dei gradi di Sergente (arrivati nel maggio 1966 mentre si era al campo a Travesio, sul monte Ciaurlec. Poco dopo, altro corso.. questa volta corso divisionale per comandanti di squadra difesa NBC alla caserma Cadorin, sede del 33° Rgt. Artiglieria Folgore.
Nel settembre 1966, altro trasferimento, ritorno a Roma, Scuola Trasmissioni, e altro corso di aggiornamento, questa volta, sulle stazioni radio AN/GRC 5-8 e ponte radio AN/TCC23. Ritorno breve alla DeDo perché nel 1967 vengo aggregato alla Sez. Trasm. dell’Officina Media del Reparto RRR (Rifornimenti, Riparazioni, Recuperi) Folgore nella Caserma Salsa di Treviso.
Nel 1968, compiuti 21 anni, il mio passaggio in S.P.E.
Nel 1969 un altro corso di perfezionamento, di 3 mesi, per Radiomontatori presso la Scuola Telecomunicazioni Interforze di Chiavari.
Nel 1973 il mio trasferimento in servizio effettivo al Reparto RRR Folgore e con gran dispiacere chiudo (ma solo amministrativamente) il mio rapporto stretto con il “nostro” Battaglione Trasmissioni Folgore, che mi rimarrà però sempre indelebile nel cuore.