Spatia devinco, disiuncta coniungo

Vinco le distanze e unisco ciò che è separato… il senso del motto che campeggia nello stemma della Scuola delle Trasmissioni è chiaro. Una bellissima frase che sintetizza la finalità delle trasmissioni, ma che contiene anche un significato più profondo… la comunicazione unisce.
Poi venne la parola “telecomunicazione”, dall’originaria francese télécommunication, composta dal prefisso greco tele (τηλε- “lontano da”) e del latino communicare (“rendere comune”, “condividere”) a descrivere l’attività di trasmissione a lunga distanza di “messaggi” tra un mittente e uno o più destinatari, attraverso un canale fisico di comunicazione.
Oggi il processo comunicativo è analizzato e sviscerato nei suoi elementi fondamentali: il sistema emittente (animale, uomo, macchina); il canale di comunicazione; il contesto di riferimento; il contenuto della comunicazione; il destinatario del messaggio; l’informazione; il codice formale; ecc. ecc, ma nacque da una sola esigenza : far sapere ad altri, distanti, ciò che si era appreso.
Non vi è un periodo storico legato alla sua nascita… e in questo neppure aiuta il Museo Storico della Comunicazione  aperto a Roma nel 1982 dopo un secolo di raccolta di materiale. La cosa però certa è che i maggiori impulsi al suo sviluppo, come per la maggior parte dei progressi umani, fu legata ad esigenze belliche o commerciali.
Gli organi umani preposti a ricevere e trasmettere a distanza sono certamente gli occhi e le orecchie e quindi facile pensare che i primi segnali utilizzati siano stati quelli “acustici” tramite corni, tamburi, ecc. e quelli “visibili”. Tra questi, i segnali di fumo furono i più utilizzati dagli indiani d’America, dagli aborigeni australiani, dagli Yamana e dagli antichi romani nel IV secolo a.C., per comunicare a distanza concetti elementari, come p.es. l’arrivo di un nemico. Di notte al loro posto si usavano segnali luminosi. Nell’antica Grecia, la presa di Troia (1200 a.C. ca) fu resa nota la notte stessa tramite una serie ininterrotta di segnalazioni luminose emesse da appositi “posti di guardia”.
Enea il Tattico, nel 366 a.C., nel corso dei conflitti interni al Peloponneso, inventò un sistema di telecomunicazioni di messaggi preimpostati tramite strumentazione in possesso sia del mittente che del destinatario e Polibio  poi (200 a.C.) inventò la sua “scacchiera” con la quale, mediante l’uso di più torce, riusciva a trasmettere messaggi cifrati… era in pratica una sorta di primordiale telegrafo.
Segnali di fumo e ottici vennero utilizzati anche in Cina dai guardiani della Grande Muraglia (200 a.C. ca), che passando il messaggio da torre a torre, raggiungevano in breve tempo distanze di 750 Km. Continua a leggere

Il mio servizio militare di leva….

La maggior parte di noi “folgo-trasmettitori” ha terminato la sua leva alla Dedo, ma qualcuno ha fatto invece il percorso inverso venendo a Treviso e poi tornando alla Scuola Trasmissioni. Il precedente articolo di ricordi di Umberto Baldini ha stimolato un altro “ex-complemento”, Mauro Di Giannantonio, a rivivere un po’ le sue esperienze. Speriamo che questo serva da “stura” per tanti altri che di cose ne hanno da raccontare…

Partii il 9 Gen. 1965 da Pratola Peligna (AQ) per raggiungere la Scuola Trasmissioni della Cecchignola a Roma e iniziare il 38° Corso AUC.
Mi sentivo felice e fiero per il concorso vinto, ma anche la tristezza era tanta perché lasciavo la famiglia… la fidanzata! Ma, quando arrivai alla Scuola, avevo le idee ben chiare su ciò che stavo vivendo; pensavo “ora devo rinunciare alle mie abitudini più comode e per quindici mesi della mia vita dovrò assumere un nuovo aspetto“. Nella gerarchia militare nessuno comincia da Ufficiale e già sapevo che questo livello doveva essere conquistato sempre con notevoli sacrifici.
Varcato l’ingresso, un grande piazzale e sul muro di fronte notai subito l’immagine di un angelo con la spada fiammeggiante e la grande scritta “SPATIA DEVINCO DISIUNCTA CONIUNGO”. Fui inquadrato nel 1° Btg Allievi che, al comando del Ten. Col. Landi, era formato da tre Compagnie, due AUC e una ACS, con i corsi pari nella 1°Comp. e i dispari nella seconda. Il Cap. Carlomagno era il Comandante del mio 38° Corso AUC.
I primi mesi di corso furono veramente duri, addestramento formale, educazione fisica e sempre di corsa in ogni spostamento, lezioni in aula su regolamenti, apparati e trasmissioni (telefonia e radiotecnica, multiplex a frequenze vettrici CF1, ponti radio, ricetrasmittenti AN/TRC in VHF e SCR193 in MF-HF), armamenti, arte militare, topografia, NBC, ecc. A complicare i disagi, il 9 Febbr. a Roma ci fu la nevicata del secolo… 40 cm di neve! E’ pur vero che come abruzzese ero abituato alla neve ma, caspita, erano secoli che a Roma non nevicava così e doveva capitare proprio adesso!
E nel mese di Marzo ci fu il giuramento.
Sentivo l’importanza dell’impegno che avrei assunto di fronte a me stesso e alla Patria. Quel giorno provai una forte tensione mista a una certa commozione dovuta anche alla presenza tra il pubblico dei miei genitori, di mio fratello (che aveva frequentato il 28° Corso AUC) e pure della fidanzata…
Durante i restanti tre mesi di corso, dovemmo superare i continui esami sulle varie materie di studio; vi erano allievi che studiavano anche di notte, sotto le lenzuola con una lampada portatile. La paura di essere scartati e non arrivare a fregiarsi del grado di Sergente faceva leva sul nostro orgoglio giovanile e ci spingeva al massimo impegno. Nonostante ciò, alcuni, 5 o 6, furono bocciati. Essendo Perito in Telecomunicazioni, fui avvantaggiato nell’apprendimento e alla fine mi qualificai 40° su 114 allievi. Tra di noi vi erano veramente tanti giovani in gamba.
Avevo il grado di Sergente AUC quando, insieme agli allievi del 39° corso AUC e dopo lunghe prove in notturna, il mio 1° Btg della Scuola Trasmissioni, al comando del Ten. Col. Landi, partecipò alla sfilata del 2 Giugno lungo i Fori Imperiali. La presenza di quella folla straboccante, che per l’emozione quasi ci paralizzava, fu invece uno sprone per fare del nostro meglio. Fummo sicuramente tra i reparti che sfilarono meglio e quella giornata resta tra i ricordi più vivi della mia vita militare.
Arrivò l’assegnazione: Battaglione Trasmissioni Folgore, Caserma De Dominicis, Treviso. Così, il 5 Giugno, con i commilitoni Serg. Moroni e Scolari, partii da Roma Tiburtina per iniziare il periodo “trevigiano” e “folgorino” della mia leva. Continua a leggere

1958-1975 – I Comandanti della “FOLGORE”

La “nostra” Divisione nel corso della sua gloriosa Storia, ha annoverato tra i suoi comandanti delle personalità di grande rilievo. Avevano partecipato alla seconda G.M., in parte in Africa Settentrionale, e molti di essi hanno ricevuto medaglie e importanti onorificenze. Vediamo le notizie reperibili sui 17 Generali che si sono succeduti al suo comando durante gli anni di esistenza del nostro Battaglione Trasmissioni:

1) Gen. Mario Puddu 1958 – 1959 (Ussassai 26/8/1899 – 1980)
AUC alla Scuola di Caserta, partecipa alla prima G.M. prima distinguendosi sul Piave e poi in Francia e in Belgio. Nel 1920 inviato in Albania. Capitano nel 1927 e dal 1928 al 1931 alla Scuola di Guerra. Ufficiale di S.M. dell’Esercito e nel Gabinetto del Min. della Guerra. Dal 1936 sino al termine partecipa alla guerra di Spagna e, per meriti di guerra, promosso Maggiore e comandante un Btg carri e, successivamente, Comandante un Btg dell’esercito regolare spagnolo. Durante la seconda G.M. inviato prima in Albania e, come Ten.Col., nel 1942 al Comando Supremo fino all’Armistizio. Partecipa alla difesa di Roma e poi, nel nuovo esercito italiano, alla liberazione della capitale come Ufficiale dello S.M. dell’Esercito. Colonnello nel 1948, prima Comandante della Scuola Carristi e poi al Centro Alti Studi Militari e allo F.T.A.S.E. – Fa parte del Comando Nato a Verona e degli Stati Maggiori Combinati. Nel 1956 è Gen. di Brigata nella Div. Legnano. Nel 1957 Generale di Div. e Comandante della Div. Folgore dal 1958 al 1959. Nello stesso periodo è anche Direttore Generale Ufficiali del Min. della Difesa. Generale di C.d’A. comandante del 6º corpo d’armata a Bologna dal 1959 al 1962. Autore del libro “Guerra in Italia – 1943-1945”. Decorato con tre medaglie d’argento e una di bronzo al V.M. – Grande Ufficiale OMRI il 02/06/1961
2) Gen. Vincenzo Pezzonia 1959
3) Gen. Massimo De Palma 1959 – 1960. Grande Ufficiale OMRI il 23/02/1965
4) Gen. Ottavio Di Casola 1960 – 1961. Colonnello alla Scuola del Genio nel 1950 – Grande Ufficiale OMRI il 27/12/1965
5) Gen. Luigi Forlenza 1961 – 1962. (RC 3/11/1907 – Roma 23/7/1989)
Alla Scuola AUC di Roma il 1/9/1926. Sottotenente di Complemento il 16/6/1927 all’84° Rgt di Fanteria. Il 15/10/1927 nella R.Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena e Sottotenente di Fanteria il 16/8/1929 all’81° Rgt di Fanteria, tra le cui fila partecipò alla Campagna d’Etiopia. Capitano nel 1935, ammesso all’Istituto Superiore di Guerra nel 1937 prende parte al Secondo Conflitto Mondiale, Maggiore nel 1942. Dopo diversi incarichi di S.M. sino al 1944, fu assegnato al 6° Rgt di Fanteria “Aosta”. Tenente Colonnello nel 1947 e Capo di S.M. della Div. Granatieri di Sardegna. Colonnello dal 31/5/1952 e dal il 15/2/1953 comandante del 67° Rgt Fanteria. Dal 6/3/1954 assegnato al Q.G. Italiano del Comando Forze Terrestri Alleate Sud Europa. Gen.di Brigata nel 1957; al Comando della Divisione “Folgore” dopo la promozione a Generale di Div. il 1/11/1961. Promosso Generale di C.d’A. il 29/12/1964, mentre svolgeva le funzioni di Ispettore delle Armi di Fanteria e Cavalleria, poi nominato Comandante dell’VIII° Comando Militare Territoriale. Dal 26/2/1968 al 2/11971 Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Decorato di 2 Medaglie di Bronzo al V.M. e nominato Cavaliere di Gran Croce OMRI il 11/12/1968
6) Gen. Umberto Rosato 1962 – 1963. (Solofra -Avellino- 1906)
Allievo dell’Accademia Militare di Modena e poi Sottotenente dei Bersaglieri. Partecipa alla campagna d’A.O.I. e alla seconda G.M. sul fronte albanese. Decorato di tre croci di guerra al V.M. una delle quali conferitagli “sul campo”. Ufficiale di S.M., Capo Ufficio Operazioni del VI Corpo d’Armata negli anni 1941-1943. Al rientro in Patria, dopo due anni di prigionia in Germania, è Capo Ufficio Operazioni del VI° Comando Militare Territoriale di Bologna e poi Comandante di Btg dell’87° Rgt Fanteria. Promosso Colonnello, è Addetto Militare presso l’Ambasciata d’Italia a Washington, dal 1953 al 1955, e poi Comandante dell’82° Rgt Fanteria “Torino”. Frequentato l’11^ sessione del “Nato Defence College”, dove successivamente ricopre l’incarico di Consigliere agli studi negli anni 1957-1958. Gen. di Brigata nella Div. “Folgore” e poi nell’Accademia Militare di Modena. – Generale di Div., nel 1962 è Comandante la Div. Folgore – Generale di C. d’A. nel 1965 al comando del V° C. d’A. e dal febbraio 1967 al marzo 1969 Comandante Generale della G.d.F. Nei 25 mesi in cui ha retto la carica, numerose le realizzazioni conseguite in ogni settore e l’efficienza operativa dei reparti ha toccato vertici mai raggiunti in precedenza. Continua a leggere

La nostra DeDo e il ricordo di un grande sacrificio

La “nostra” caserma di Treviso è intitolata al Capitano di fanteria Domenico De Dominicis del V° Battaglione Indigeni Eritrei, caduto a Maharuga in Libia nel 1913.
De_Dominicis_mortoEx-allievo della Scuola Militare Nunziatella di Napoli, fu ufficiale dei Battaglioni Ascari durante le operazioni militari in Libia susseguenti la guerra italo-turca, sotto il comando del colonnello Miani. Impegnato in combattimento il 24 dicembre 1913 nella regione del Fezzan, in località Maharuga (oggi Qarat al Mahruqah, nel distretto di Wadi al-Shatii), guidò valorosamente i propri uomini, rimanendo tuttavia gravemente ferito. In seguito al suo decesso, avvenuto il giorno successivo, fu inumato in località Brach, a poco più di 26 chilometri dal luogo dello scontro.
tomba de dominicisIn seguito all’abbandono della zona da parte delle truppe italiane nel 1914, la tomba fu lungamente perduta. Circa quindici anni dopo, il 24 novembre 1929, essa fu ritrovata dalle truppe della colonna Graziani, ed in particolare dalla colonna dello Sciueref al comando di Amedeo di Savoia-Aosta, Duca delle Puglie, che riconquistò l’area di Brach. All’ispezione, la tomba risultava pressoché intatta. All’interno, la salma di De Dominicis si presentava ancora parzialmente intatta, e fu possibile riconoscerne i capelli biondo-castani e parte della divisa, quali “i gambali, lembi di camicia kaki, d’uniforme, una falda del casco, le controspalline coi distintivi del V° Eritreo e qualche bottone della giubba”.
La salma fu traslata al Mausoleo delle Medaglie d’Oro di Tripoli e poi al Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari. Insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa alla memoria nel Marzo 1915 con la seguente motivazione:

“Guidava con grande slancio ed ardire la sua Compagnia nell’attacco ed in parte nel lungo inseguimento. Richiamato, poi, su un altro fronte per salvare una Sezione di Artiglieria minacciata da imminente pericolo di accerchiamento, animosamente affrontava con la sua Compagnia, allo scoperto, numerosi nemici trincerati a brevissima distanza, salvando i pezzi e fermando l’aggiramento. Cadeva gravemente ferito e moriva il giorno dopo”

…quelli di “complemento” raccontano…

Col servizio militare obbligatorio, mentre i più andavano a formare i Plotoni e le Compagnie dei vari Corpi, una parte dei giovani, dopo una selezione tecnico-fisica, veniva addestrata per assumersi maggiori responsabilità come ufficiali o sottufficiali di “complemento”. Erano coetanei dei loro futuri sottoposti e come loro vivevano le fatiche, l’ansia e la disciplina della vita militare.
Un nostro “ex-sten” del ’68, Umberto Baldini, ci racconta i suoi ricordi…


Marzo del 1968, Roma, Cecchignola, 49° corso A.U.C. Al termine di cinque mesi di duro corso, dopo aver superato l’esame terminale, finalmente giunse la sospirata promozione al grado di “Sergente A.U.C.” e la relativa assegnazione per il successivo periodo di quattro mesi da sottufficiale. La destinazione preoccupava non poco perché la voce di “radio-gavetta” sussurrava che a quelli destinati ai reparti “operativi” sarebbe fatto “un mazzo tanto”!
A quei tempi, i reparti di destinazione erano fondamentalmente di due tipi: reparti territoriali e reparti operativi; secondo voci che circolavano, nei reparti territoriali si “faceva la pacchia” perché si occupavano soprattutto di gestire centri radio presso comandi, magazzini, postazioni di ponti-radio, insomma “lavoro di ufficio”, o poco più! Il vero spauracchio erano i reparti operativi ove, si mormorava, tra una manovra e l’altra “si andava sempre di corsa”, insomma ti facevano “scoppiare” e tra le destinazioni allora più temute si sussurrava della “Folgore” che veniva descritta come “un covo di esagitati”, un reparto che, allo “rompete le righe”, gridava “Folgore” col braccio teso! Perciò, quando seppi della mia destinazione (42° Btg. Trs. Pordoi, alloggiato nelle caserma “Pierobon” di Padova) tirai un sospiro di sollievo perché, a detta della vulgata, doveva essere di tutto riposo; non è che disdegnassi l’azione, ma le voci sui reparti operativi mi avevano francamente “turbato”!
Iniziava allora (marzo ’68) quello che doveva essere un periodo idilliaco ma che si dimostrò invece essere la più brutta fase della mia “naja”! Di “lavori d’ufficio”, nemmeno l’ombra e in compenso tanti servizi “di ronda”, alternati a servizi “d’ispezione” e, per riposare, servizio “di giornata” che, in quella vasta caserma con diversi reparti, di riposo certo non erano! E il comandante di compagnia manteneva distacco con freddezza e anche il suo vice, Tenente Mich, A.U.C. raffermato, concedeva ben poca cordialità! Vissute non poche “disavventure”, giunse finalmente il 19 giugno ’68, termine del periodo da sergente e il sospirato ritorno a casa in “licenza attesa nomina”.
Dopo due settimane arriva l’attesa promozione a sottotenente e con essa la destinazione: Battaglione Trasmissioni “Folgore”, Treviso! Giuro che in quel momento mi caddero le braccia: se il reparto territoriale, che doveva essere di tutto riposo, si era rivelato così sgradevole, cosa mi sarei dovuto aspettare in mezzo a una banda di esaltati!
Quando arrivai all’imbocco del viale Lancieri di Novara avevo un groppo alla gola! Mi consolava l’aver notato che la caserma era in centro a Treviso – graziosa ed elegante cittadina che già conoscevo – e non più all’estrema periferia come a Padova, e anche l’aver scoperto che l’altro sten assegnato al battaglione era Pier Guido Colonna, simpaticissimo friulano di Latisana. Lui era stato il primo “commilitone” incontrato: eravamo entrambi alla stazione Termini di Roma, con sguardo smarrito e valigetta in mano, e, indovinando da lontano la comune sorte, assieme ci eravamo recati all’Hotel “Perotti” della Cecchignola! E la gradita sorpresa era stata notevole perché, sapendo che da sergente era stato assegnato ai “parà” Folgore di Pisa, non sapevo allora che alcuni di essi potessero poi essere dirottati a Treviso! E, guarda caso, sempre lui sarà anche l’ultimo commilitone che saluterò al congedo, nel gennaio ‘69, dopo averlo accompagnato a Latisana con la mia scassatissima 500.
Ma quel 10 Luglio ‘68 varcammo insieme il portone della caserma con un certo timore! Continua a leggere

C’era una volta il “Raduno…

Già… il titolo corre il rischio di entrare ormai nei racconti che i nonni fanno ai nipotini di avvenimenti svoltisi in ere tanto lontane del passato… Saltato quello del “decennale” nel 2020, è evidentemente ormai a rischio anche quello dell’anno corrente; negli anni scorsi erano questi infatti i giorni in cui si cominciavano a ricevere le prime notizie sull’avvio della macchina organizzativa con l’invio dei primi moduli di adesione. Una macchina organizzativa tutt’altro che semplice sia per via di tutti i permessi necessari all’accesso a una caserma (che, ricordiamo, è tuttora perfettamente operativa) sia per mediare e rispondere alle più disparate proposte dei partecipanti che negli scorsi anni hanno creato un gran daffare agli organizzatori (con il buon Fabrizio Castellucci giunto allo stremo!). Siamo quasi a metà Marzo e riceviamo invece notizie sul fatto che si profila all’orizzonte una terza ondata di questa maledettissima pandemia che bloccherà nuovamente tutto. Bene, anzi male, è passato più di un anno e ancora ci troviamo daccapo. Si poteva far meglio, si poteva fare di più… ma il giudizio è rimandato a un lontano futuro mentre ora non resta che sperare in un vaccino sicuro (ricordiamo che nonostante tutto quelli attuali sono ancora da ritenersi “sperimentali“) e in un adeguato protocollo per i medici di base che ne mitighino le letali conseguenze.
Per il momento ci riteniamo tutti “consegnati”… niente libera uscita (né libera “entrata”)!! Ma non manca, proprio per questo, un pensiero riconoscente ancor più forte per l’organizzazione delle passate edizioni del Raduno e un altrettanto forte incitamento a non mollare col nostro grido distintivo…FOLGORE!!

C’era una volta la NAJA….

Fra una generazione, alcune parole per noi di uso comune non si capiranno più se non dopo una ricerca “storico-filologica”; parole a rischio di oblio come “carta carbone”, ”calamaio”, ”voce in Capitolo”, “antifona”, ecc.
E così anche per “naja”, ovvero il servizio militare di leva che fino a pochi anni fa era obbligatorio per tutti i maschi divenuti maggiorenni e che interessò per secoli milioni di giovani chiamati “sotto le armi”. Un universo, il servizio militare di leva e le relative caserme, che si ritrova ancora in racconti, romanzi, film, in cui bene o male si parla di un’istituzione per sua natura preposta alla guerra (o alla difesa).
Fu Machiavelli che lanciò l’idea di costituire eserciti di “cittadini in armi” in sostituzione dei “mercenari” e, dopo cinque secoli, siamo ora tornati ai professionisti, uomini e donne, reclutati tra cittadini volontari (una volta erano i “firmaioli”). Forse in futuro saranno costituiti da soldati di qualunque origine (come la “Legione straniera” o lo spagnolo “Tercio”) in base all’umanissimo principio che nessuno ci tiene a rischiare la pelle se si può disporre di quella di altri a pagamento…
Ma riportiamo alla memoria alcune parole ed espressioni tipiche della vecchia “naja”:
– “Leva”. Non era quella meccanica per sollevare pesi ma la “chiamata” annuale di tutti i cittadini maschi. Dalla nascita si veniva inseriti nell’anagrafe comunale tra i futuri “coscritti”. Poi veniva affisso un illeggibile manifesto sulla “chiamata alle armi per la classe….”. E al diciottesimo anno cominciava la procedura per l’arruolamento … con i giovani, venivano censiti anche i muli e gli alberi adatti per le possibili costruzioni militari. La “ferma” era la durata del servizio militare.
– “Fare i tre giorni”. Dopo la prima visita di leva, il Distretto Militare convocava i coscritti per un ulteriore esame. In fila in mutande con un foglio anagrafico in mano, per tossire e dire trentatré, davanti al medico militare. I seminaristi, in base al Concordato potevano sfilare in una stanza diversa! Poi un giorno e mezzo (e non tre!) in una caserma, con un rancio vero e le probabili prime sfottiture con commenti su nomi e cognomi scanditi per l’appello. Alla fine si riceveva un “abile e arruolato” o il riconoscimento di “ridotta attitudine militare” o “dispensato dal servizio militare”.
– “Vestizione”. Al secondo giorno di permanenza in caserma viene consegnata ad ogni soldato la “divisa” (che lo “divide” dagli altri, dai disprezzati “borghesi”), da lavoro e da libera uscita, e anche una dotazione personale di vari articoli.
– “Decade”: la paga del soldato, quasi simbolica, e pensare che “soldato” significa “pagato”. Una frase comunissima:” Qui non sei pagato per pensare”.
– “Cubo”: Metodo particolare per piegare le coperte e lenzuola della propria branda. Una delle prime cose da imparare in caserma per evitare “sbrandamenti”.
– “Ufficiale di giornata”, un ufficiale subalterno, riconoscibile dalla fascia azzurra a bandoliera (come il “Musichiere”), incaricato di controllare l’entrata, schierare la guardia per i visitatori importanti, controllare le sentinelle e la mensa. Di notte dovrebbe vegliare (e non dormire, vestito, al Corpo di Guardia!). I militari di guardia invece imparano a dormire in piedi!!
– “Picchetto”. Non quello per piantare una tenda… è un drappello di guardia interna alla caserma: il nome è di origine napoleonica, come “plotone”, ”compagnia” “reggimento”, “quartier generale” e i gradi (caporale – se “di giornata” è il responsabile dei servizi per quel giorno -, sergente, maresciallo, tenente, capitano, maggiore, colonnello, generale).
– “Furiere”: era il segretario-factotum del reparto. Faceva tutto: preparava, suggerendo furbescamente il da farsi al Capitano: biglietti di punizione, fogli di licenza, licenze-premio, “basse di passaggio” per trasferire un militare, distribuzione di “viveri di conforto”(cioccolata e grappa per le “grandi manovre”), distribuiva la posta e i “vaglia di papà” arrivati. Tutti lo ricercavano e disprezzavano perché non faceva mai esercizi e marce militari. “L’italiano in fanteria e il romano in fureria!” dicevano quei soldati che “parlavano tricolore” (perché tanti parlavano in dialetto, specialmente quando non volevano farsi capire o imprecavano). Non imprecavano e non bestemmiavano mai quelli che a casa erano stati “scout” cattolici. La “Messa al campo” era una cerimonia ufficiale e non ci si poteva dispensare, come da un servizio.
– “Ordine del giorno” e “Tabella”: fogli in cui sono scritti gli incaricati dei vari servizi di giornata e i nomi dei puniti con la “consegna” e che non possono andare in “libera uscita”. Altre punizioni: CPS (camera di punizione semplice) ossia si dorme in cella; CPR (camera di punizione di rigore) cioè agli arresti come un vero e proprio detenuto in una cella e i giorni di CPR allungavano la naja. Ma c’erano anche i “giri di campo” di corsa e le “flessioni” sulle braccia!!
– “Marcare visita”: è chiedere una visita medica per essere dispensati dai servizi (guardia, marce, corvè, ecc.). L’Ufficiale medico spesso non riconosce la malattia e ti qualifica come “lavativo”, proponendoti per una punizione. Se la malattia era riconosciuta, la cura era quasi invariabilmente: “purga” o “riposo in branda”. Continua a leggere

La “nostra”, cara indimenticabile Treviso…

Non c’è Folgorino del Btg Trasmissioni che non abbia qualche ricordo particolare della città di TREVISO, già citata anche in altri precedenti articoli. Le osterie, i cinema, i bar e, perché no, le ragazze e tutta la popolazione in genere che seppe accogliere, e molte volte consolare, quelle migliaia di giovani che, in molti casi, si trovava per la prima volta lontano da famiglie e amici. Treviso, oltre che bella per i suoi palazzi storici e una diffusa “pulizia”, è una città a misura d’uomo e la sua antica storia si può percepire ad ogni sosta di una tranquilla passeggiata lungo le sue vie. Perciò dovrebbe risultare gradita una visita, almeno virtuale in questo periodo, al suo F.A.S.T., il Foto Archivio Storico Trevigiano in via Cal di Breda 116. Prese da quello, ne anticipiamo solo alcune immagini, alcune molto vecchie ma ancora piene di fascino.
Nell’ordine: l’ultimo soldato austriaco dell’Impero Austro-Ungarico fotografato in città e poi invece il primo soldato italiano, cui segue una bella sfilata dei Lancieri di Novara… quelli della De Dominicis!
L’inverno in quella città è sempre stato rigido e gli uomini giravano col “tabarro”, ma Villa Manfrin, prima di diventare la Villa Margherita della Folgore, era già stupenda. All’Ossario di Nervesa molti di noi ci andarono in gita con camion militari a onorare gli Eroi del Piave.
E in libera uscita, ai più fortunati, sarà potuto capitare di andare a vedere il corpo di ballo di Gino Bramieri che si esibì sul palco del teatro Garibaldi; qualcuno sarà pure andato a sparare coi fucili ad aria compressa alla Fiera di San Luca… ma chi non ricorda i bianchi nebbioni di Treviso che ci avvolgevano… soprattutto durante interminabili turni di guardia notturni??

Quegli antichi, primi “Trasmettitori” della Storia

Nel ripensare alla lunga Storia delle Trasmissioni, bisogna ricordare che fin dai primordi è sempre esistito anche un modo molto semplice di comunicare a distanza… quello cioè di affidare i messaggi ad altri che li portassero a destinazione! E anche in questo caso si utilizzano i termini mittente, vettore, codice, ricevente, ecc.
Gli antichi Greci ne fecero addirittura un mito e tutti ricorderanno certamente dell’emerodromo (ovvero “colui che corre per un giorno intero”) Fidippide della Battaglia di Maratona (490.C.) che, secondo Luciano di Samosata, avrebbe corso ininterrottamente da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria e, giuntovi, sarebbe morto per lo sforzo. E, anticamente, in molti casi il messaggero, nel timore di una intercettazione, doveva pure imparare a memoria lunghi messaggi! Ma ben più antico (2000 a.C.) e non costituito di un solo messaggero, è anche documentato un “servizio postale” messo a punto e utilizzato già dai Faraoni dell’antico Egitto.
La nascita di quello “moderno” è fatto risalire all’opera dei Tasso (derivati dai quali l’agenzia Tass, i taxì, ecc.) nella Repubblica Veneta del ‘500, mentre sono di tempi recenti i leggendari “pony express” del Far West… ma, nell’arco della storia, tutti, re, imperatori, papi, nobili avevano sempre avuto a disposizione corrieri e messi e gli eserciti avevano dei soldati specializzati per questo compito.
Ma tra tutti questi “trasmettitori” non dimenticheremo certo la lunga storia del piccione viaggiatore, quella varietà del piccione domestico derivato dal piccione selvatico orientale, selezionato geneticamente per la sua abilità di ritrovare la strada di casa percorrendo distanze anche molto lunghe, sfruttando il loro senso di orientamento e il fenomeno della magnetoricezione.
La loro velocità media in volo, su distanze di 600 km, è di circa 80 chilometri all’ora e compiono voli sino ai 1.820 Km registrati in competizione colombofile.
Il suo primo impiego risale a ben oltre 3.000 anni fa quando già veniva adoperato da Egiziani e Persiani e poi considerato il principale mezzo di comunicazione ad alta priorità per le civiltà greco-romane. Nella Grecia antica, i vincitori dell’Olimpiade erano soliti appendere alla zampa di un piccione il “messaggio della vittoria”. Attraversando i cieli del mondo e le epoche storiche, passando dalla Roma di Giulio Cesare al Medioevo quando, durante le Crociate, erano usati dai Saraceni per scambiarsi messaggi sugli eserciti cristiani, per arrivare quasi ai giorni nostri, i piccioni viaggiatori sono stati utilizzati anche nel Novecento. Anche dopo l’invenzione del telegrafo, del telefono e dei sistemi radio, durante la Grande Guerra la maggior parte degli eserciti ne fece un grande uso. I sistemi radio potevano guastarsi, essere manomessi o intercettati e perciò l’esercito italiano creò delle colombaie mobili, attrezzate a volte per ospitare fino a oltre 100 colombi. E tale scelta fu talmente vantaggiosa in guerra che questi vennero riadoperati anche nel secondo conflitto mondiale: fu una colomba chiamata “Paddy” che il 6 giugno 1944, riuscendo a beffarsi dei falchi tedeschi (usati come contromisura) e attraversando oltre 230 miglia in meno di cinque ore, portò per prima le notizie dello sbarco in Normandia. Quel pennuto, alla sua morte nel 1954, fu ricordato e premiato in una speciale cerimonia e più tardi con un cartone animato.
E per finire con i nostri vecchi “trasmettitori”, una notizia dello scorso novembre sul loro valore attuale: “Il piccione viaggiatore più caro al mondo: comprato all’asta da un ignoto e facoltoso acquirente cinese per 1,6 milioni di Euro!”. Allevata in Belgio, New Kim, ha due anni ed è ormai una pensionata di lusso avendo vinto, nella sua breve ma intensa carriera, molte gare e ora servirà per la riproduzione. In Cina le gare di colombi viaggiatori sono da qualche anno sempre più in voga e producono volumi d’affare altissimi e premi multimilionari ai vincitori.

Un po’ di storia del Paracadutismo Militare Italiano

Il 29/12 scorso il buon Rivetti ci ha ricordato che in quel giorno, nel 1937: “Muore a Mogadiscio il tenente Alessandro Tandura a 44 anni. Durante la 1ª G.M. lanciandosi da un biplano Savoia-Pomilio nella notte del’8/8/1918 divenne il primo paracadutista al mondo in azione di guerra“.
E allora, ricordando che tanti, ufficiali e sottufficiali parà hanno prestato servizio anche nel nostro Battaglione, ripercorriamo i primi passi del paracadutismo militare in Italia, riassumendolo da vari siti e letteratura specialistica.
“Il paracadutismo militare italiano è nato durante la Grande Guerra. Era pionieristico e embrionale, ma già pieno di fascino. Nel 1918 tre giovani tenenti, Alessandro Tandura, Arrigo Barnaba e Ferruccio Nicoloso, vennero paracadutati dietro le linee austriache con il compito di capire i movimenti del nemico e riferire al Comando Italiano per mezzo di piccioni viaggiatori. Fecero il lancio (notturno!) senza aver ricevuto alcun addestramento, tranne il consiglio di tenere le gambe unite e di stringere i denti!! I paracadute erano Calthrop, soprannominati “Angel Guardians”. Tandura e Barnaba vennero decorati di M.O.V.M.; Nicoloso con l’ Ordine Militare di Savoia.
Agli inizi degli anni ’20 si cominciò a pensare a una vasta utilizzazione del paracadute. Fu il Tenente pilota Prospero Freri, durante il lungo periodo trascorso in ospedale per un incidente aereo in cui perse la vita il suo motorista, che studiò la possibilità di usare il paracadute paracadute 1come mezzo di salvataggio dei piloti; scrisse il libro: “Un ordigno di salvezza, Il paracadute” nel quale descriveva un dispositivo di apertura del paracadute con una calotta applicata sotto la fusoliera dell’aereo e, realizzatolo in collaborazione con Gennaro Maddaluno, lo chiamò “Aerodiscensore”; insieme poi effettuarono degli esperimenti all’Arsenale di Napoli con un aereo S.V.A. biposto. Ebbe, per quei tempi, successo tanto che già nel ’22 (8 ottobre) il Ministero della Guerra poté indire una “gara tra paracadutisti” all’aeroporto di Centocelle; obbiettivo: centrare un bersaglio con diametro di 150 mt lanciandosi da un’altezza di 300 mt. A questa competizione parteciparono i primi valenti paracadutisti e vinse Maddaluno guadagnando il premio di 3.000 lire. Studi ed esperimenti “presero il volo”.
– Nel 1923 Alfredo Ereno sperimentò il paracadute tedesco Heinecke, con un lancio a Bergamo, da 87 mt e a Napoli Alba Russo, la prima donna paracadutista italiana, si lanciò da 400 mt.
– Nel 1924 Freri e il tecnico polacco Furmanik idearono e costruirono un nuovo paracadute dorsale, abbastanza moderno nella sua concezione, denominato “Salvator”, di seta, 7,30 mt di diametro e con 24 funicelle di sospensione. Primo lancio sperimentale, da un aereo Aviatik, all’aeroporto di Taliedo, poi a Montecelio e a Centocelle perfettamente riusciti.
Il Ministero della Guerra decise allora di nominare una commissione per scegliere un paracadute di cui dotare i piloti; presidente il Col. Alessandro Guidoni coadiuvato dal T.Col. Giulio Gavotti, pioniere dell’aeronautica nella campagna di Libia del 1911/12. Fu scelto il paracadute Salvator. Continua a leggere