C’era una volta la NAJA….

Fra una generazione, alcune parole per noi di uso comune non si capiranno più se non dopo una ricerca “storico-filologica”; parole a rischio di oblio come “carta carbone”, ”calamaio”, ”voce in Capitolo”, “antifona”, ecc.
E così anche per “naja”, ovvero il servizio militare di leva che fino a pochi anni fa era obbligatorio per tutti i maschi divenuti maggiorenni e che interessò per secoli milioni di giovani chiamati “sotto le armi”. Un universo, il servizio militare di leva e le relative caserme, che si ritrova ancora in racconti, romanzi, film, in cui bene o male si parla di un’istituzione per sua natura preposta alla guerra (o alla difesa).
Fu Machiavelli che lanciò l’idea di costituire eserciti di “cittadini in armi” in sostituzione dei “mercenari” e, dopo cinque secoli, siamo ora tornati ai professionisti, uomini e donne, reclutati tra cittadini volontari (una volta erano i “firmaioli”). Forse in futuro saranno costituiti da soldati di qualunque origine (come la “Legione straniera” o lo spagnolo “Tercio”) in base all’umanissimo principio che nessuno ci tiene a rischiare la pelle se si può disporre di quella di altri a pagamento…
Ma riportiamo alla memoria alcune parole ed espressioni tipiche della vecchia “naja”:
– “Leva”. Non era quella meccanica per sollevare pesi ma la “chiamata” annuale di tutti i cittadini maschi. Dalla nascita si veniva inseriti nell’anagrafe comunale tra i futuri “coscritti”. Poi veniva affisso un illeggibile manifesto sulla “chiamata alle armi per la classe….”. E al diciottesimo anno cominciava la procedura per l’arruolamento … con i giovani, venivano censiti anche i muli e gli alberi adatti per le possibili costruzioni militari. La “ferma” era la durata del servizio militare.
– “Fare i tre giorni”. Dopo la prima visita di leva, il Distretto Militare convocava i coscritti per un ulteriore esame. In fila in mutande con un foglio anagrafico in mano, per tossire e dire trentatré, davanti al medico militare. I seminaristi, in base al Concordato potevano sfilare in una stanza diversa! Poi un giorno e mezzo (e non tre!) in una caserma, con un rancio vero e le probabili prime sfottiture con commenti su nomi e cognomi scanditi per l’appello. Alla fine si riceveva un “abile e arruolato” o il riconoscimento di “ridotta attitudine militare” o “dispensato dal servizio militare”.
– “Vestizione”. Al secondo giorno di permanenza in caserma viene consegnata ad ogni soldato la “divisa” (che lo “divide” dagli altri, dai disprezzati “borghesi”), da lavoro e da libera uscita, e anche una dotazione personale di vari articoli.
– “Decade”: la paga del soldato, quasi simbolica, e pensare che “soldato” significa “pagato”. Una frase comunissima:” Qui non sei pagato per pensare”.
– “Cubo”: Metodo particolare per piegare le coperte e lenzuola della propria branda. Una delle prime cose da imparare in caserma per evitare “sbrandamenti”.
– “Ufficiale di giornata”, un ufficiale subalterno, riconoscibile dalla fascia azzurra a bandoliera (come il “Musichiere”), incaricato di controllare l’entrata, schierare la guardia per i visitatori importanti, controllare le sentinelle e la mensa. Di notte dovrebbe vegliare (e non dormire, vestito, al Corpo di Guardia!). I militari di guardia invece imparano a dormire in piedi!!
– “Picchetto”. Non quello per piantare una tenda… è un drappello di guardia interna alla caserma: il nome è di origine napoleonica, come “plotone”, ”compagnia” “reggimento”, “quartier generale” e i gradi (caporale – se “di giornata” è il responsabile dei servizi per quel giorno -, sergente, maresciallo, tenente, capitano, maggiore, colonnello, generale).
– “Furiere”: era il segretario-factotum del reparto. Faceva tutto: preparava, suggerendo furbescamente il da farsi al Capitano: biglietti di punizione, fogli di licenza, licenze-premio, “basse di passaggio” per trasferire un militare, distribuzione di “viveri di conforto”(cioccolata e grappa per le “grandi manovre”), distribuiva la posta e i “vaglia di papà” arrivati. Tutti lo ricercavano e disprezzavano perché non faceva mai esercizi e marce militari. “L’italiano in fanteria e il romano in fureria!” dicevano quei soldati che “parlavano tricolore” (perché tanti parlavano in dialetto, specialmente quando non volevano farsi capire o imprecavano). Non imprecavano e non bestemmiavano mai quelli che a casa erano stati “scout” cattolici. La “Messa al campo” era una cerimonia ufficiale e non ci si poteva dispensare, come da un servizio.
– “Ordine del giorno” e “Tabella”: fogli in cui sono scritti gli incaricati dei vari servizi di giornata e i nomi dei puniti con la “consegna” e che non possono andare in “libera uscita”. Altre punizioni: CPS (camera di punizione semplice) ossia si dorme in cella; CPR (camera di punizione di rigore) cioè agli arresti come un vero e proprio detenuto in una cella e i giorni di CPR allungavano la naja. Ma c’erano anche i “giri di campo” di corsa e le “flessioni” sulle braccia!!
– “Marcare visita”: è chiedere una visita medica per essere dispensati dai servizi (guardia, marce, corvè, ecc.). L’Ufficiale medico spesso non riconosce la malattia e ti qualifica come “lavativo”, proponendoti per una punizione. Se la malattia era riconosciuta, la cura era quasi invariabilmente: “purga” o “riposo in branda”.
– “Corvée”: termine francese (in italiano anche corvé) utilizzato nelle società feudali per indicare un tipo di prestazione dovuta da parte del vassallo ma in caserma significa pulire camerate, piazzali e soprattutto cessi. Spesso fatte fare e rifare per punizione.
-“Contrappello”. Dopo la “ritirata” si va in camerata. Più tardi, a sorpresa, si fa un appello di controllo, il “contrappello”. Qualche soldato però, dopo il contrappello salta il muro di cinta e dorme fuori. Prima della “sveglia” però è già al suo posto perché al mattino, alla prima adunata, c’è un altro appello.
– “Ronda” nelle ore di libera uscita è costituita da tre militari che circolano armati per la città solo per controllare il buon comportamento di tutti i militari, usi a far baldoria e alla ricerca di posti “malfamati”. Oggi alcuni reparti sono impiegati utilmente anche in pattugliamenti di sorveglianza in varie città.
– “A Rapporto”: quando si chiede o si è chiamati a un colloquio con un superiore: Finisce quasi sempre con un “cazziatone” (ad esempio: ” Gli ordini sono dati per essere eseguiti, non per essere discussi!”) o una “morale” (un predicozzo pieno di minacce e parolacce).
– “Radio Naja”: le “voci di corridoio” all’interno di caserma ma il più delle volte si trattava di burle o di notizie infondate.
– “Sbragato”: dicesi di un militare che tiene in modo “poco” ordinato la divisa o barba o capelli. Il termine può anche indicare un ambiente dove la gerarchia militare viene percepita in modo un po’ troppo “leggero”.
– “Rancio”. Niente a che vedere con i “ranch” americani e relativi barbecue… è il vitto dei militari. In caserma un Ufficiale o il Comandante avevano l’obbligo di assaggiarlo prima della distribuzione; pare che ripetessero, non senza ironia, “OTTIMO, per la truppa!”. Invece il soldato in servizio di mensa scriveva su librone: “OTTIMO E ABBONDANTE”. Effettivamente nelle giornate di grande festa il cibo era ottimo e abbondante perché molti militari erano in licenza!.
– “Venire dalla gavetta”. Non è “uscire dalla mensa” ma significa cominciare una carriera dal basso. Nella gavetta di alluminio una volta ci mangiavano soltanto i soldati semplici, i “marmittoni”.
– “Piantone”. Non è parte dello sterzo dell’auto, ma una sentinella, magari armata alla leggera, che si può muovere in un’area ristretta per vigilare rispettando una “consegna”, cioè un compito affidatogli.
– “Stare al pezzo”. Il compito di un militare di artiglieria ”servente al pezzo” di non abbandonare mai l’arma. Nella vita civile significa però essere perseverante, fedele, presente al proprio dovere.
– “Forza”: è solo il numero totale di soldati presenti. A ogni adunata, ogni ufficiale la presenta al proprio ufficiale superiore gridando il numero totale dei presenti.
– “Ordine chiuso”: sono tutti gli esercizi di marcia, sfilata, corse in piazza d’armi. Tutto questo dovrebbe servire a stabilire un automatismo di esecuzione degli ordini. L’obbedienza deve essere: “pronta, rispettosa, assoluta”. Così, si pensa, avverrà pure in combattimento!
– “Poligono di tiro”, luogo isolato e prescelto per sparare ai bersagli (“sagome”) schierate dagli “zappatori”; vi accadeva di tutto, nonostante ogni atto fosse regolamentato da squilli di tromba, bandierine, ordini gridati al megafono. A volte un soldato particolarmente “imbranato” grida “Arma inceppata!” e poi, invece di restare immobile al suo posto, si gira con l’arma in pugno provocando un “pancia a terra” generalizzato!
– “Mascheramento”: indossando la “tuta mimetica”, si infilano nell’elmetto, nello zaino e in ogni altro appiglio possibile rami con foglie, pezzi di stoffa o altro e tingendosi anche la faccia per “rompere” la vista da lontano della propria sagoma,. E il solito imbranato si infilava rami con foglie verdi anche su una spiaggia sabbiosa o in un terreno arido.
In vari siti o blog dedicati agli “ex” come noi si trovano tante di queste definizioni e anche tante altre che saranno però oggetto di una prossima ricerca.

C’era una volta la NAJA….ultima modifica: 2021-02-23T11:50:30+01:00da trsfolgore1
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