La “nostra”, cara indimenticabile Treviso…

Non c’è Folgorino del Btg Trasmissioni che non abbia qualche ricordo particolare della città di TREVISO, già citata anche in altri precedenti articoli. Le osterie, i cinema, i bar e, perché no, le ragazze e tutta la popolazione in genere che seppe accogliere, e molte volte consolare, quelle migliaia di giovani che, in molti casi, si trovava per la prima volta lontano da famiglie e amici. Treviso, oltre che bella per i suoi palazzi storici e una diffusa “pulizia”, è una città a misura d’uomo e la sua antica storia si può percepire ad ogni sosta di una tranquilla passeggiata lungo le sue vie. Perciò dovrebbe risultare gradita una visita, almeno virtuale in questo periodo, al suo F.A.S.T., il Foto Archivio Storico Trevigiano in via Cal di Breda 116. Prese da quello, ne anticipiamo solo alcune immagini, alcune molto vecchie ma ancora piene di fascino.
Nell’ordine: l’ultimo soldato austriaco dell’Impero Austro-Ungarico fotografato in città e poi invece il primo soldato italiano, cui segue una bella sfilata dei Lancieri di Novara… quelli della De Dominicis!
L’inverno in quella città è sempre stato rigido e gli uomini giravano col “tabarro”, ma Villa Manfrin, prima di diventare la Villa Margherita della Folgore, era già stupenda. All’Ossario di Nervesa molti di noi ci andarono in gita con camion militari a onorare gli Eroi del Piave.
E in libera uscita, ai più fortunati, sarà potuto capitare di andare a vedere il corpo di ballo di Gino Bramieri che si esibì sul palco del teatro Garibaldi; qualcuno sarà pure andato a sparare coi fucili ad aria compressa alla Fiera di San Luca… ma chi non ricorda i bianchi nebbioni di Treviso che ci avvolgevano… soprattutto durante interminabili turni di guardia notturni??

Quegli antichi, primi “Trasmettitori” della Storia

Nel ripensare alla lunga Storia delle Trasmissioni, bisogna ricordare che fin dai primordi è sempre esistito anche un modo molto semplice di comunicare a distanza… quello cioè di affidare i messaggi ad altri che li portassero a destinazione! E anche in questo caso si utilizzano i termini mittente, vettore, codice, ricevente, ecc.
Gli antichi Greci ne fecero addirittura un mito e tutti ricorderanno certamente dell’emerodromo (ovvero “colui che corre per un giorno intero”) Fidippide della Battaglia di Maratona (490.C.) che, secondo Luciano di Samosata, avrebbe corso ininterrottamente da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria e, giuntovi, sarebbe morto per lo sforzo. E, anticamente, in molti casi il messaggero, nel timore di una intercettazione, doveva pure imparare a memoria lunghi messaggi! Ma ben più antico (2000 a.C.) e non costituito di un solo messaggero, è anche documentato un “servizio postale” messo a punto e utilizzato già dai Faraoni dell’antico Egitto.
La nascita di quello “moderno” è fatto risalire all’opera dei Tasso (derivati dai quali l’agenzia Tass, i taxì, ecc.) nella Repubblica Veneta del ‘500, mentre sono di tempi recenti i leggendari “pony express” del Far West… ma, nell’arco della storia, tutti, re, imperatori, papi, nobili avevano sempre avuto a disposizione corrieri e messi e gli eserciti avevano dei soldati specializzati per questo compito.
Ma tra tutti questi “trasmettitori” non dimenticheremo certo la lunga storia del piccione viaggiatore, quella varietà del piccione domestico derivato dal piccione selvatico orientale, selezionato geneticamente per la sua abilità di ritrovare la strada di casa percorrendo distanze anche molto lunghe, sfruttando il loro senso di orientamento e il fenomeno della magnetoricezione.
La loro velocità media in volo, su distanze di 600 km, è di circa 80 chilometri all’ora e compiono voli sino ai 1.820 Km registrati in competizione colombofile.
Il suo primo impiego risale a ben oltre 3.000 anni fa quando già veniva adoperato da Egiziani e Persiani e poi considerato il principale mezzo di comunicazione ad alta priorità per le civiltà greco-romane. Nella Grecia antica, i vincitori dell’Olimpiade erano soliti appendere alla zampa di un piccione il “messaggio della vittoria”. Attraversando i cieli del mondo e le epoche storiche, passando dalla Roma di Giulio Cesare al Medioevo quando, durante le Crociate, erano usati dai Saraceni per scambiarsi messaggi sugli eserciti cristiani, per arrivare quasi ai giorni nostri, i piccioni viaggiatori sono stati utilizzati anche nel Novecento. Anche dopo l’invenzione del telegrafo, del telefono e dei sistemi radio, durante la Grande Guerra la maggior parte degli eserciti ne fece un grande uso. I sistemi radio potevano guastarsi, essere manomessi o intercettati e perciò l’esercito italiano creò delle colombaie mobili, attrezzate a volte per ospitare fino a oltre 100 colombi. E tale scelta fu talmente vantaggiosa in guerra che questi vennero riadoperati anche nel secondo conflitto mondiale: fu una colomba chiamata “Paddy” che il 6 giugno 1944, riuscendo a beffarsi dei falchi tedeschi (usati come contromisura) e attraversando oltre 230 miglia in meno di cinque ore, portò per prima le notizie dello sbarco in Normandia. Quel pennuto, alla sua morte nel 1954, fu ricordato e premiato in una speciale cerimonia e più tardi con un cartone animato.
E per finire con i nostri vecchi “trasmettitori”, una notizia dello scorso novembre sul loro valore attuale: “Il piccione viaggiatore più caro al mondo: comprato all’asta da un ignoto e facoltoso acquirente cinese per 1,6 milioni di Euro!”. Allevata in Belgio, New Kim, ha due anni ed è ormai una pensionata di lusso avendo vinto, nella sua breve ma intensa carriera, molte gare e ora servirà per la riproduzione. In Cina le gare di colombi viaggiatori sono da qualche anno sempre più in voga e producono volumi d’affare altissimi e premi multimilionari ai vincitori.

Un po’ di storia del Paracadutismo Militare Italiano

Il 29/12 scorso il buon Rivetti ci ha ricordato che in quel giorno, nel 1937: “Muore a Mogadiscio il tenente Alessandro Tandura a 44 anni. Durante la 1ª G.M. lanciandosi da un biplano Savoia-Pomilio nella notte del’8/8/1918 divenne il primo paracadutista al mondo in azione di guerra“.
E allora, ricordando che tanti, ufficiali e sottufficiali parà hanno prestato servizio anche nel nostro Battaglione, ripercorriamo i primi passi del paracadutismo militare in Italia, riassumendolo da vari siti e letteratura specialistica.
“Il paracadutismo militare italiano è nato durante la Grande Guerra. Era pionieristico e embrionale, ma già pieno di fascino. Nel 1918 tre giovani tenenti, Alessandro Tandura, Arrigo Barnaba e Ferruccio Nicoloso, vennero paracadutati dietro le linee austriache con il compito di capire i movimenti del nemico e riferire al Comando Italiano per mezzo di piccioni viaggiatori. Fecero il lancio (notturno!) senza aver ricevuto alcun addestramento, tranne il consiglio di tenere le gambe unite e di stringere i denti!! I paracadute erano Calthrop, soprannominati “Angel Guardians”. Tandura e Barnaba vennero decorati di M.O.V.M.; Nicoloso con l’ Ordine Militare di Savoia.
Agli inizi degli anni ’20 si cominciò a pensare a una vasta utilizzazione del paracadute. Fu il Tenente pilota Prospero Freri, durante il lungo periodo trascorso in ospedale per un incidente aereo in cui perse la vita il suo motorista, che studiò la possibilità di usare il paracadute paracadute 1come mezzo di salvataggio dei piloti; scrisse il libro: “Un ordigno di salvezza, Il paracadute” nel quale descriveva un dispositivo di apertura del paracadute con una calotta applicata sotto la fusoliera dell’aereo e, realizzatolo in collaborazione con Gennaro Maddaluno, lo chiamò “Aerodiscensore”; insieme poi effettuarono degli esperimenti all’Arsenale di Napoli con un aereo S.V.A. biposto. Ebbe, per quei tempi, successo tanto che già nel ’22 (8 ottobre) il Ministero della Guerra poté indire una “gara tra paracadutisti” all’aeroporto di Centocelle; obbiettivo: centrare un bersaglio con diametro di 150 mt lanciandosi da un’altezza di 300 mt. A questa competizione parteciparono i primi valenti paracadutisti e vinse Maddaluno guadagnando il premio di 3.000 lire. Studi ed esperimenti “presero il volo”.
– Nel 1923 Alfredo Ereno sperimentò il paracadute tedesco Heinecke, con un lancio a Bergamo, da 87 mt e a Napoli Alba Russo, la prima donna paracadutista italiana, si lanciò da 400 mt.
– Nel 1924 Freri e il tecnico polacco Furmanik idearono e costruirono un nuovo paracadute dorsale, abbastanza moderno nella sua concezione, denominato “Salvator”, di seta, 7,30 mt di diametro e con 24 funicelle di sospensione. Primo lancio sperimentale, da un aereo Aviatik, all’aeroporto di Taliedo, poi a Montecelio e a Centocelle perfettamente riusciti.
Il Ministero della Guerra decise allora di nominare una commissione per scegliere un paracadute di cui dotare i piloti; presidente il Col. Alessandro Guidoni coadiuvato dal T.Col. Giulio Gavotti, pioniere dell’aeronautica nella campagna di Libia del 1911/12. Fu scelto il paracadute Salvator. Continua a leggere

Uno in gamba, uno di noi…

Una cosa è certa… tutti quelli di noi che ebbero ad incontrarti per la prima volta in quei lontani anni alla Dedo, ne ricevettero subito un impressione della tua serietà e compostezza. Avevi allora da poco ricevuto la nomina a Maresciallo ma la tua completa dedizione ai compiti che ti erano stati affidati era ben solida da molto tempo prima.

Sempre pronto, nel “tuo” laboratorio, cacciavite alla mano per smontare, riparare, tarare stadi intermedi, rimontare e tanto altro hai fatto che l’Esercito ha pensato bene di dartene uno d’oro…
Quando noi, con il congedo in mano, lasciammo allora la caserma, avevamo salutato tutti… tenenti, sergenti, commilitoni, ecc. e i più di noi erano convinti che non ci saremmo mai più rivisti. E invece no… una incredibile combinazione di fatti, dopo tanti, lunghissimi anni ci ha riportato, per qualche giorno negli ultimi anni, a ritrovarci, a rivedere i nostri volti, segnati dalle rughe, con barbe e capelli bianchi ma con il sorriso di chi si sente fortunato di poter riannodare i casi della propria vita. E anche tu, Silvano, in mezzo a noi con il tuo volto sereno; il volto di chi sa di aver ben compiuto il proprio dovere fino in fondo, per tante cose… si, anche per aver riparato tanti guasti ma soprattutto di essere stato un buon esempio per tanti giovani. E così anche adesso come allora, con gran rispetto, ci salutiamo… chissà se ci rivedremo… ma sarai comunque per sempre un pezzo di noi. Ciao Maresciallo Bigini!