La nostra DeDo e il ricordo di un grande sacrificio

La “nostra” caserma di Treviso è intitolata al Capitano di fanteria Domenico De Dominicis del V° Battaglione Indigeni Eritrei, caduto a Maharuga in Libia nel 1913.
De_Dominicis_mortoEx-allievo della Scuola Militare Nunziatella di Napoli, fu ufficiale dei Battaglioni Ascari durante le operazioni militari in Libia susseguenti la guerra italo-turca, sotto il comando del colonnello Miani. Impegnato in combattimento il 24 dicembre 1913 nella regione del Fezzan, in località Maharuga (oggi Qarat al Mahruqah, nel distretto di Wadi al-Shatii), guidò valorosamente i propri uomini, rimanendo tuttavia gravemente ferito. In seguito al suo decesso, avvenuto il giorno successivo, fu inumato in località Brach, a poco più di 26 chilometri dal luogo dello scontro.
tomba de dominicisIn seguito all’abbandono della zona da parte delle truppe italiane nel 1914, la tomba fu lungamente perduta. Circa quindici anni dopo, il 24 novembre 1929, essa fu ritrovata dalle truppe della colonna Graziani, ed in particolare dalla colonna dello Sciueref al comando di Amedeo di Savoia-Aosta, Duca delle Puglie, che riconquistò l’area di Brach. All’ispezione, la tomba risultava pressoché intatta. All’interno, la salma di De Dominicis si presentava ancora parzialmente intatta, e fu possibile riconoscerne i capelli biondo-castani e parte della divisa, quali “i gambali, lembi di camicia kaki, d’uniforme, una falda del casco, le controspalline coi distintivi del V° Eritreo e qualche bottone della giubba”.
La salma fu traslata al Mausoleo delle Medaglie d’Oro di Tripoli e poi al Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari. Insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa alla memoria nel Marzo 1915 con la seguente motivazione:

“Guidava con grande slancio ed ardire la sua Compagnia nell’attacco ed in parte nel lungo inseguimento. Richiamato, poi, su un altro fronte per salvare una Sezione di Artiglieria minacciata da imminente pericolo di accerchiamento, animosamente affrontava con la sua Compagnia, allo scoperto, numerosi nemici trincerati a brevissima distanza, salvando i pezzi e fermando l’aggiramento. Cadeva gravemente ferito e moriva il giorno dopo”

…quelli di “complemento” raccontano…

Col servizio militare obbligatorio, mentre i più andavano a formare i Plotoni e le Compagnie dei vari Corpi, una parte dei giovani, dopo una selezione tecnico-fisica, veniva addestrata per assumersi maggiori responsabilità come ufficiali o sottufficiali di “complemento”. Erano coetanei dei loro futuri sottoposti e come loro vivevano le fatiche, l’ansia e la disciplina della vita militare.
Un nostro “ex-sten” del ’68, Umberto Baldini, ci racconta i suoi ricordi…


Marzo del 1968, Roma, Cecchignola, 49° corso A.U.C. Al termine di cinque mesi di duro corso, dopo aver superato l’esame terminale, finalmente giunse la sospirata promozione al grado di “Sergente A.U.C.” e la relativa assegnazione per il successivo periodo di quattro mesi da sottufficiale. La destinazione preoccupava non poco perché la voce di “radio-gavetta” sussurrava che a quelli destinati ai reparti “operativi” sarebbe fatto “un mazzo tanto”!
A quei tempi, i reparti di destinazione erano fondamentalmente di due tipi: reparti territoriali e reparti operativi; secondo voci che circolavano, nei reparti territoriali si “faceva la pacchia” perché si occupavano soprattutto di gestire centri radio presso comandi, magazzini, postazioni di ponti-radio, insomma “lavoro di ufficio”, o poco più! Il vero spauracchio erano i reparti operativi ove, si mormorava, tra una manovra e l’altra “si andava sempre di corsa”, insomma ti facevano “scoppiare” e tra le destinazioni allora più temute si sussurrava della “Folgore” che veniva descritta come “un covo di esagitati”, un reparto che, allo “rompete le righe”, gridava “Folgore” col braccio teso! Perciò, quando seppi della mia destinazione (42° Btg. Trs. Pordoi, alloggiato nelle caserma “Pierobon” di Padova) tirai un sospiro di sollievo perché, a detta della vulgata, doveva essere di tutto riposo; non è che disdegnassi l’azione, ma le voci sui reparti operativi mi avevano francamente “turbato”!
Iniziava allora (marzo ’68) quello che doveva essere un periodo idilliaco ma che si dimostrò invece essere la più brutta fase della mia “naja”! Di “lavori d’ufficio”, nemmeno l’ombra e in compenso tanti servizi “di ronda”, alternati a servizi “d’ispezione” e, per riposare, servizio “di giornata” che, in quella vasta caserma con diversi reparti, di riposo certo non erano! E il comandante di compagnia manteneva distacco con freddezza e anche il suo vice, Tenente Mich, A.U.C. raffermato, concedeva ben poca cordialità! Vissute non poche “disavventure”, giunse finalmente il 19 giugno ’68, termine del periodo da sergente e il sospirato ritorno a casa in “licenza attesa nomina”.
Dopo due settimane arriva l’attesa promozione a sottotenente e con essa la destinazione: Battaglione Trasmissioni “Folgore”, Treviso! Giuro che in quel momento mi caddero le braccia: se il reparto territoriale, che doveva essere di tutto riposo, si era rivelato così sgradevole, cosa mi sarei dovuto aspettare in mezzo a una banda di esaltati!
Quando arrivai all’imbocco del viale Lancieri di Novara avevo un groppo alla gola! Mi consolava l’aver notato che la caserma era in centro a Treviso – graziosa ed elegante cittadina che già conoscevo – e non più all’estrema periferia come a Padova, e anche l’aver scoperto che l’altro sten assegnato al battaglione era Pier Guido Colonna, simpaticissimo friulano di Latisana. Lui era stato il primo “commilitone” incontrato: eravamo entrambi alla stazione Termini di Roma, con sguardo smarrito e valigetta in mano, e, indovinando da lontano la comune sorte, assieme ci eravamo recati all’Hotel “Perotti” della Cecchignola! E la gradita sorpresa era stata notevole perché, sapendo che da sergente era stato assegnato ai “parà” Folgore di Pisa, non sapevo allora che alcuni di essi potessero poi essere dirottati a Treviso! E, guarda caso, sempre lui sarà anche l’ultimo commilitone che saluterò al congedo, nel gennaio ‘69, dopo averlo accompagnato a Latisana con la mia scassatissima 500.
Ma quel 10 Luglio ‘68 varcammo insieme il portone della caserma con un certo timore! Continua a leggere

C’era una volta il “Raduno…

Già… il titolo corre il rischio di entrare ormai nei racconti che i nonni fanno ai nipotini di avvenimenti svoltisi in ere tanto lontane del passato… Saltato quello del “decennale” nel 2020, è evidentemente ormai a rischio anche quello dell’anno corrente; negli anni scorsi erano questi infatti i giorni in cui si cominciavano a ricevere le prime notizie sull’avvio della macchina organizzativa con l’invio dei primi moduli di adesione. Una macchina organizzativa tutt’altro che semplice sia per via di tutti i permessi necessari all’accesso a una caserma (che, ricordiamo, è tuttora perfettamente operativa) sia per mediare e rispondere alle più disparate proposte dei partecipanti che negli scorsi anni hanno creato un gran daffare agli organizzatori (con il buon Fabrizio Castellucci giunto allo stremo!). Siamo quasi a metà Marzo e riceviamo invece notizie sul fatto che si profila all’orizzonte una terza ondata di questa maledettissima pandemia che bloccherà nuovamente tutto. Bene, anzi male, è passato più di un anno e ancora ci troviamo daccapo. Si poteva far meglio, si poteva fare di più… ma il giudizio è rimandato a un lontano futuro mentre ora non resta che sperare in un vaccino sicuro (ricordiamo che nonostante tutto quelli attuali sono ancora da ritenersi “sperimentali“) e in un adeguato protocollo per i medici di base che ne mitighino le letali conseguenze.
Per il momento ci riteniamo tutti “consegnati”… niente libera uscita (né libera “entrata”)!! Ma non manca, proprio per questo, un pensiero riconoscente ancor più forte per l’organizzazione delle passate edizioni del Raduno e un altrettanto forte incitamento a non mollare col nostro grido distintivo…FOLGORE!!