…quelli di “complemento” raccontano…

Col servizio militare obbligatorio, mentre i più andavano a formare i Plotoni e le Compagnie dei vari Corpi, una parte dei giovani, dopo una selezione tecnico-fisica, veniva addestrata per assumersi maggiori responsabilità come ufficiali o sottufficiali di “complemento”. Erano coetanei dei loro futuri sottoposti e come loro vivevano le fatiche, l’ansia e la disciplina della vita militare.
Un nostro “ex-sten” del ’68, Umberto Baldini, ci racconta i suoi ricordi…


Marzo del 1968, Roma, Cecchignola, 49° corso A.U.C. Al termine di cinque mesi di duro corso, dopo aver superato l’esame terminale, finalmente giunse la sospirata promozione al grado di “Sergente A.U.C.” e la relativa assegnazione per il successivo periodo di quattro mesi da sottufficiale. La destinazione preoccupava non poco perché la voce di “radio-gavetta” sussurrava che a quelli destinati ai reparti “operativi” sarebbe fatto “un mazzo tanto”!
A quei tempi, i reparti di destinazione erano fondamentalmente di due tipi: reparti territoriali e reparti operativi; secondo voci che circolavano, nei reparti territoriali si “faceva la pacchia” perché si occupavano soprattutto di gestire centri radio presso comandi, magazzini, postazioni di ponti-radio, insomma “lavoro di ufficio”, o poco più! Il vero spauracchio erano i reparti operativi ove, si mormorava, tra una manovra e l’altra “si andava sempre di corsa”, insomma ti facevano “scoppiare” e tra le destinazioni allora più temute si sussurrava della “Folgore” che veniva descritta come “un covo di esagitati”, un reparto che, allo “rompete le righe”, gridava “Folgore” col braccio teso! Perciò, quando seppi della mia destinazione (42° Btg. Trs. Pordoi, alloggiato nelle caserma “Pierobon” di Padova) tirai un sospiro di sollievo perché, a detta della vulgata, doveva essere di tutto riposo; non è che disdegnassi l’azione, ma le voci sui reparti operativi mi avevano francamente “turbato”!
Iniziava allora (marzo ’68) quello che doveva essere un periodo idilliaco ma che si dimostrò invece essere la più brutta fase della mia “naja”! Di “lavori d’ufficio”, nemmeno l’ombra e in compenso tanti servizi “di ronda”, alternati a servizi “d’ispezione” e, per riposare, servizio “di giornata” che, in quella vasta caserma con diversi reparti, di riposo certo non erano! E il comandante di compagnia manteneva distacco con freddezza e anche il suo vice, Tenente Mich, A.U.C. raffermato, concedeva ben poca cordialità! Vissute non poche “disavventure”, giunse finalmente il 19 giugno ’68, termine del periodo da sergente e il sospirato ritorno a casa in “licenza attesa nomina”.
Dopo due settimane arriva l’attesa promozione a sottotenente e con essa la destinazione: Battaglione Trasmissioni “Folgore”, Treviso! Giuro che in quel momento mi caddero le braccia: se il reparto territoriale, che doveva essere di tutto riposo, si era rivelato così sgradevole, cosa mi sarei dovuto aspettare in mezzo a una banda di esaltati!
Quando arrivai all’imbocco del viale Lancieri di Novara avevo un groppo alla gola! Mi consolava l’aver notato che la caserma era in centro a Treviso – graziosa ed elegante cittadina che già conoscevo – e non più all’estrema periferia come a Padova, e anche l’aver scoperto che l’altro sten assegnato al battaglione era Pier Guido Colonna, simpaticissimo friulano di Latisana. Lui era stato il primo “commilitone” incontrato: eravamo entrambi alla stazione Termini di Roma, con sguardo smarrito e valigetta in mano, e, indovinando da lontano la comune sorte, assieme ci eravamo recati all’Hotel “Perotti” della Cecchignola! E la gradita sorpresa era stata notevole perché, sapendo che da sergente era stato assegnato ai “parà” Folgore di Pisa, non sapevo allora che alcuni di essi potessero poi essere dirottati a Treviso! E, guarda caso, sempre lui sarà anche l’ultimo commilitone che saluterò al congedo, nel gennaio ‘69, dopo averlo accompagnato a Latisana con la mia scassatissima 500.
Ma quel 10 Luglio ‘68 varcammo insieme il portone della caserma con un certo timore!
E qui la prima bella sorpresa… una caserma a “misura d’uomo” (dopo le gigantesche Perotti e Pierobon) e con un solo battaglione di due compagnie (di massima, una per tx via radio e una via cavo). Poi, varcato l’ingresso, la piacevole sensazione nel notare l’ambiente: passato un boschetto di alberelli con una bella fontanella e dietro di esso un campo di calcio, appare l’edificio principale, certamente vecchiotto ma in buono stato, e altri edifici che rivelavano una “storia” interessante di reparti di cavalleria. Antistante la struttura principale, un ampio piazzale con la statua dell’Arcangelo Gabriele di fronte a un piccolo monumento ai Caduti e chiuso dal muro di cinta oltre il quale, la presenza della città, che, coi suoi alti palazzi, sembrava voler sbirciare le nostre attività!
E ancor più che l’ambiente, mi stupì subito l’atmosfera di cordialità: fui assegnato alla seconda Compagnia e Colonna alla prima e subito presentati ai rispettivi comandanti, Cap. Diasio e Cap. Frasca (futuro Generale), e ai colleghi “anziani” Donazzan e Manerba, prossimi al congedo, e ai “due stelle”, Seccia (futuro Generale), Pallottini (futuro Generale), Epifani (futuro Generale), Spagnolo, Mancini e all’uff. medico Dott. Cardelli. Dopo pochi mesi dal nostro arrivo, il Cap. Diasio venne trasferito e il comando della 2° Comp. fu assunto dall’allora Ten. Seccia che si dimostrò anch’esso un ottimo comandante, oltre che a rimanere un grande amico!
Con tutti quei colleghi vi fu sempre cordialità e affiatamento: l’unico ufficiale che incuteva soggezione, ma forse era giusto così, era il comandate del Btg, il Ten. Col. Omero Pettricci!
E con grande piacere ricordo anche i rapporti con i sottufficiali di carriera come i marescialli Garofalo e Gumina, l’allora sergente Scarpa, provetto telegrafista, i serg. maggiori Impelluso e Bigini e l’anziano maresciallo Scacchetti che, pur privato di un occhio, girava in bicicletta per tutta la caserma; era anch’esso reduce di El Alamein come il nostro comandante di Divisione Gen. Mino.
E quindi, quello che temevamo fosse un ambiente duro e ostico, si dimostrò nei fatti molto socievole e financo amichevole; certamente si lavorava sodo: manovre, esercitazioni e non mancavano corsi, addestramenti e servizi che però risultavano anch’essi sopportabilissimi dato che, essendovi solo due compagnie, non si montava “Ufficiale di picchetto” ma solo “Ufficiale di giornata” e, data l’esiguità di ufficiali, montavano anche i marescialli! Non vi era il tempo per annoiarsi… anzi, il tempo passava anche troppo velocemente! E così, come vorrei dimenticare brutti episodi del periodo “padovano”, tengo molto a ricordare i tanti simpatici avvenimenti del periodo “trevigiano”.
Quando infine ci congedammo, lasciai la caserma convinto che ben difficilmente avrei avuto l’occasione di rivederla, perché da subito i pensieri erano tornati ad occuparsi della famiglia e del lavoro per il quale, grazie a una convocazione della Zanussi di Pordenone, dovetti presto “emigrare” dalla mia originaria Modena. Dopo aver cambiato diverse occupazioni, sempre in campo elettronico, e approdato all’insegnamento, conobbi occasionalmente il Col. Rizzello, grazie al quale potei organizzare una visita alla “Dedo” con i miei allievi. Che emozione in quel primo rientro!
E non fu il solo. Tanti anni dopo infatti, ormai felice nonno, ritornai in visita con un gruppo di radioamatori della sezione A.R.I. di Pordenone e lì venni a conoscenza dei raduni di ex “Folgorini” che da alcuni anni andavano realizzandosi.
Nei cinque mesi trascorsi come sten alla DeDo, avevo conosciuto anche tanti bravi giovani coetanei in gamba che prestavano servizio come soldati o graduati, marconisti, autisti, stenditori, telescriventisti, cuochi, furieri, ecc. dei quali mi è impossibile ricordare ora tuti i nomi ed è proprio grazie soprattutto all’iniziativa di alcuni di essi, come gli straordinari Gianni Cortinovis e Fabrizio Castellucci, che si sono potuti organizzare gli speciali “incontri” di questi ultimi anni.
Dal 2015 non sono mai mancato; quest’anno, come lo scorso, la pandemia ci ha bloccato ma speriamo nel prossimo (ma soprattutto speriamo risparmi noi vecchietti!) e intanto teniamo acceso il ricordo e l’orgoglio di aver vissuto in quel modo quel periodo tanto importante per la formazione della nostra vita!
Ten. Umberto Baldini, Pordenone, 16 Marzo 2021.

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