C’era una volta il “Raduno…

Già… il titolo corre il rischio di entrare ormai nei racconti che i nonni fanno ai nipotini di avvenimenti svoltisi in ere tanto lontane del passato… Saltato quello del “decennale” nel 2020, è evidentemente ormai a rischio anche quello dell’anno corrente; negli anni scorsi erano questi infatti i giorni in cui si cominciavano a ricevere le prime notizie sull’avvio della macchina organizzativa con l’invio dei primi moduli di adesione. Una macchina organizzativa tutt’altro che semplice sia per via di tutti i permessi necessari all’accesso a una caserma (che, ricordiamo, è tuttora perfettamente operativa) sia per mediare e rispondere alle più disparate proposte dei partecipanti che negli scorsi anni hanno creato un gran daffare agli organizzatori (con il buon Fabrizio Castellucci giunto allo stremo!). Siamo quasi a metà Marzo e riceviamo invece notizie sul fatto che si profila all’orizzonte una terza ondata di questa maledettissima pandemia che bloccherà nuovamente tutto. Bene, anzi male, è passato più di un anno e ancora ci troviamo daccapo. Si poteva far meglio, si poteva fare di più… ma il giudizio è rimandato a un lontano futuro mentre ora non resta che sperare in un vaccino sicuro (ricordiamo che nonostante tutto quelli attuali sono ancora da ritenersi “sperimentali“) e in un adeguato protocollo per i medici di base che ne mitighino le letali conseguenze.
Per il momento ci riteniamo tutti “consegnati”… niente libera uscita (né libera “entrata”)!! Ma non manca, proprio per questo, un pensiero riconoscente ancor più forte per l’organizzazione delle passate edizioni del Raduno e un altrettanto forte incitamento a non mollare col nostro grido distintivo…FOLGORE!!

Riemergono lentamente dalle nebbie del passato…

E’ successo a tutti noi… sono i ricordi. La nostra mente, sollecitata da un oggetto che ci capita tra le mani o da un discorso tra amici o semplicemente da un’immagine, apre una finestra su uno scenario in cui noi abbiamo vissuto e che ci appare inizialmente sfocato ma che piano piano fa riemergere particolari.. e porta, a volte, a nuove considerazioni…

“Lasciammo il CAR di Arma di Taggia la sera del 16 Dicembre 1970. La riviera ligure era ancora piena di sole, anche caldo, ma ci attendeva una notte in tradotta partendo da Genova. Nel lunghissimo, scomodo (ammassati e surriscaldati su sedili di legno) e tormentato tragitto, una sosta in tutte le stazioni. In quei giorni l’Italia al nord degli Appennini era sotto una coltre di neve e dai finestrini appannati non si vedevano altro che paesaggi imbiancati. Addio belle giornate, addio bel sole della Liguria e anche a un bel po’ di spensieratezza in quella notte di viaggio con la mente piena di timori e incertezze….Dove si finirà?….Sapevamo solo che la stazione finale di arrivo della tradotta era Mestre. E vi arrivammo… dopo quasi 24 ore scendendo in una stazione deserta, gelida, neve e ghiaccio…
Ed ecco arrivare dei camion telati; sono per il trasporto delle “spine” (così ci apostrofavano gli addetti al “ricevimento”) alla caserma De Dominicis di Treviso. Durante il trasferimento da Mestre alla caserma nei “comodi telati CP70” a nafta (credo fossero questi gli automezzi di allora) ci fu il congelamento totale delle “spine” per una temperatura esterna che, ci pareva essere, forsanche di -10°C.
Finalmente (era il 17 dicembre 1970) l’arrivo nel grande cortile della caserma De Dominicis di Treviso. Veloce rifocillamento con bevande calde nella mensa e, subito dopo, l’inizio delle varie incombenze organizzativo-burocratiche, appello, magazzino vestiario, sistemazione in camerate, ecc. ecc. Benvenuti a Treviso, benvenuti nella Folgore. Cominciava la vera “naja”.
Bello ricordare che a volte, ma solo quando si prendeva la decade (circa 1500 lire), in libera uscita si andava a bere qualche “ombreta” in varie osterie della città; ma per me la migliore era l’Oca Bianca, dove si beveva il Clinton in tazze di ceramica.
La mia sensazione rimane che a Treviso la gente volesse bene ai soldati (almeno così io vedevo) ed era allora curioso notare, quando si fermava qualcuno per porre una domanda, sentirsi dire: “..comandiii ??” ben sapendo che a Roma, in analoga circostanza, ti avrebbero invece detto “..che vvvoi ??
E il tempo, tra manovre, servizi, poche licenze e tante nuove conoscenze, trascorse, visto poi da oggi, molto velocemente.
Congedato il 20 dicembre 1971, tornai a casa, a Roma, e, dopo i festeggiamenti per il rientro e le festività natalizie, lì cominciarono le vere preoccupazioni… il lavoro… la fidanzata che aspettava.… l’ansia e i timori per un futuro sconosciuto. Fortunatamente, con il passare del tempo prevalse lo spirito dei vent’anni con la tenacia dei giovani di allora… bisognava cominciare la vita lasciando da parte paure e angosce… rimboccarsi le maniche e trovare il proprio posto nella società civile.
Cominciarono da subito a impallidire i ricordi come l’ormai vecchia ossessione della ronda o il saluto sull’attenti al passaggio di un ufficiale; e intanto si sentiva dire che anche la vita nelle caserme stava cambiando, prima con la riduzione del periodo di leva e poi con l’abolizione della coscrizione obbligatoria.
Oggi capita a volte, osservando il comportamento di tanti giovani, di chiedersi se si sia sbagliato nel non aver mantenuto un servizio militare da farsi lontano da casa. Bisogna ammettere che, allora, a molti di noi fece bene incrementando l’autonomia personale, e quindi anche l’autostima, e, contribuendo alla formazione della personalità e alle capacità di rapporti interpersonali, fu positivo anche per l’intera comunità”.

Carmelo Maiolo – 5 aprile 2020 – Ripensando alla vita militare

Rinascimento o Risorgimento… chi l’avrebbe mai detto…

Ritorniamo a Treviso, in libera uscita… A quei tempi la scelta riguardava solo il modo più veloce per arrivare al centro, all’osteria, al cinema… oggi che l’età e (e il coronavirus) ci mettono più calma possiamo vederlo anche in un altro modo. Quando si arrivava al fondo di Via Lancieri per entrare a Treviso… a sinistra (la più breve per il centro) o a destra? Nel primo caso si passava per il Rinascimento e nel secondo per il Risorgimento. Infatti i due attraversamenti del perimetro delle Mura erano nell’ordine Porta Frà Giocondo e Porta Caccianiga, due personaggi storici importanti per Treviso. Vediamo un po’ :

Giovanni Monsignori, detto Fra’ Giovanni Giocondo (Verona 1433 – Roma 1515), domenicano, fu un importante architetto e ingegnere, soprattutto militare, oltre che umanista e insegnante, e fu l’artefice della costruzione delle mura di Treviso. Fu il supervisore alle fortificazioni di alcune città della Repubblica, anche oltremare, dal 1509, quando in vista della guerra della Serenissima contro la Lega di Cambrai, fu inviato per predisporre le difese a Padova, Monselice, Legnago e a Treviso dove, con il comandante B. d’Alviano, fece costruire le nuove mura intorno alla città.
A Padova fece invece riadattare le mura per resistere alle nuove artiglierie, studiando un nuovo tipo di sistema difensivo che resisterà all’assedio di Massimiliano d’Austria e poi delle truppe spagnole e che rappresenta una delle prime realizzazioni di “fortificazione alla moderna”; questo sistema difensivo, perfezionato e adottato in molte città della Serenissima, riceverà, come per Bergamo, il riconoscimento Unesco nel 2017.
Una vita intensissima; alcuni esempi: – i suoi studi sui monumenti classici, sulle epigrafi latine, su rilievi antiquari e archeologici furono raccolti in un volume donato a Lorenzo il Magnifico di cui rimangono alcune copie. – Nel 1506, chiamato a Venezia per studiare l’interramento della laguna propose la deviazione del Brenta e fu quella la soluzione attuata; nello stesso anno, fu consultato da Papa Giulio II per la ricostruzione della basilica di San Pietro e il suo progetto influenzò la grande fabbrica; a Venezia fu il primo a portare le nuove idee di un’architettura classicista e vitruviana e fu per un decennio al centro di ogni dibattito architettonico e di ogni realizzazione importante; gli viene attribuito il progetto del Fondaco dei Tedeschi. Giorgio Vasari gli dedicò una delle sue “Vite”.

Antonio Caccianiga (Treviso 1823 – Maserada sul Piave 1909) politico, patriota e scrittore.
Studia storia naturale ed economia rurale a Padova e Milano; di idee liberali ed antiaustriache, costretto esule in Piemonte, Svizzera, Francia ed Inghilterra, rientra a Treviso nel 1854 per un’amnistia e, con la moglie parigina, si stabilisce a Maserada sul Piave, mantenendo i contatti con altri patrioti ed intellettuali.
Deputato del Regno d’Italia, Prefetto di Udine, Podestà di Treviso (in quanto tale facente parte della delegazione che portò a Torino i risultati del plebiscito del Veneto del 1866), Sindaco di Maserada,
Giornalista e scrittore, pubblicò alcuni romanzi di contenuto risorgimentale e antiaustriaco (I vampiri e l’incubo, Il convento, Brava gente, Il roccolo di Sant’Alipio, Il proscritto) e alcune opere di elogio alla vita campestre e moralistiche (La vita campestre, Il dolce far niente, Le cronache del villaggio, Il bacio della contessa Savina, Frondeggi, Lettere d‘un marito alla moglie morta, Ricordo della provincia di Treviso).

Rinascimento o Risorgimento?