Raduno dei Trasmettitori della De Dominicis 2023

Raduno 2023RADUNO 22 SETTEMBRE 2023 alla De Dominicis… sono ammessi anche i familiari… per iscriversi raduni184cansiglio@gmail.com
suoni caserma… si avvicina il momento! Certo, per noi “vecchiacci” diventa sempre più difficile prevedere a distanza o essere liberi da magagne, impegni nonniferi o sedentarie abitudini… però questa potrebbe essere l’ultima occasione!
Sarebbe un vero peccato perderla!! … e ognuno inviti almeno un suo commilitone!!

…ma io volevo andare in Aeronautica!!

… e invece son finito alla De Dominicis!
Già prima della sofferta fine delle scuole medie, avevo scoperto la mia passione per l’aeronautica e per questo, nonostante la dura iniziale opposizione dei genitori riuscii a farmi iscrivere all’ Istituto Tecnico per Periti Aeronautici di Pisa e a luglio del ’66 ne uscii con il “Diploma di Perito Capotecnico per le Costruzioni Aeronautiche” e pure con la “Menzione onorevole di Secondo Grado” consegnatami dal preside.
Da tempo frullava dentro di me una tremenda passione per tutto quello che si librava nell’aria, dalle farfalle agli aquiloni, agli aeromodelli, ai jet e quindi con entusiasmo spedii subito domanda di assunzione a tutte le possibili ditte del campo aeronautico…. Fiat Avio, Aeronautica Macchi, Siai Marchetti, Agusta elicotteri, ecc.. e financo alla Ferrari Automobili.
E, come per tanti giovani diplomati di allora, mi arrivò la doccia fredda… le ditte da poco erano state obbligate per legge a mantenere il posto di lavoro ai giovani assunti anche per la durata del loro periodo di leva, … motivo per il quale, tutte, in quegli anni, assumevano solo “militassolti”!
Avevo già fatto la “tre giorni” di visita al distretto militare di Firenze ed ero stato dichiarato “abile e arruolato” e, per strana ispirazione del tenente esaminatore finale, adatto per le “Trasmissioni”.
Ma dell’Esercito io non ne volevo sapere… io volevo, e dovevo, entrare in Aeronautica!
Venni a sapere di un concorso per un centinaio di posti per A.U.C. nel Genio Aeronautico; i vincitori avrebbero subito frequentato un corso di tre mesi alla Scuola di Guerra Aerea, sita nel Parco delle Cascine di Firenze… oplà.. a un passo da casa!
Il concorso era riservato a diplomati con titoli preferenziali per diploma di perito aeronautico, possesso di brevetto di pilotaggio, frequenza di corsi aeronautici, attestazione di aeromodellista, ecc.
Diploma.. l’avevo; Attestato… l’avevo.. infatti, nell’estate del quarto anno di istituto avevo partecipato a una “settimana di cultura aeronautica” di propaganda nelle scuole organizzata dall’Aeronautica Militare all’aeroporto di Gorizia; il corso prevedeva anche il pilotaggio di un velivolo da turismo e ne avevo ricevuto l’attestato!! … Aeromodellista… lo ero… con tanto di tessera FAI (Fédération Aéronatique International) e una bella lettera di presentazione del presidente GAE (Gruppo Aeromodellistico Empolese).
Boom… avevo tutte le carte in regola.. sembrava essere l’occasione della vita e mi affrettai perciò a fare la mia brava domanda allegando tutto quello che poteva servire ad alzare il mio punteggio.
Ero contento come una Pasqua quando mi arrivò la lettera di convocazione per la visita medica alla caserma dell’aeronautica di Piazza Novelli a Milano e, avendo già passato la selezione di Firenze, mi presentai estremamente fiducioso.
Di nuovo, mi fecero spogliare, mi pesarono, mi misurarono, mi ascoltarono il cuore, mi interrogarono per sapere il perché e il percome… e poi mi chiamarono alla visita oculistica.
Il colonnello medico mi fece togliere gli occhiali, cominciò il test, mi guardò dentro la retina, mi guardò e riguardò. Poi mi disse di rimettermi gli occhiali. Si mise alla scrivania, cominciò a scrivere e poi mi porse un foglio…. “Occhio destro con visus inferiore di un decimo a quello consentito. Risultato: Non idoneo!
Ma come?!? E’ vero, io portavo gli occhiali fin da piccolo per una leggera miopia ma la selezione era per il Genio Aeronautico… non dovevo mica fare il pilota!! Certo quelli dovevano essere perfetti!!
Mentalmente lo maledissi con tutte le mie forze ma non ci fu niente da fare. Il verdetto era stato pronunciato!
Tornai a casa con la coda fra le gambe e, con l’ultima speranza prima della disperazione, feci domanda come soldato semplice in aeronautica.
La “cartolina” arrivò a maggio del ’67: Presentarsi al C.A.R. della Caserma Giannettino a Trapani!!
Non me ne vorranno i commilitoni trapanesi ma, per me, posto più lontano da casa non ci poteva essere e poi giugno e luglio quell’anno a Trapani con temperatura costante sui 40°/42° e, ancor peggio, la carenza di acqua. In televisione, se parlavano del trapanese, facevano vedere gente che si faceva la barba con la gazzosa. L’acqua in caserma, razionata, veniva portata di notte con autocisterna.
Naturalmente quando facevamo esercitazioni ginniche, si facevano a torso nudo e quando eravamo sudati, “SCHIENA A TERRA, GAMBE IN ALTO!” poi “PANCIA A TERRA! 10 FLESSIONI!”
Ovviamente il campo sportivo dove si faceva questo non aveva un filo d’erba, ma una coltre di polvere finissima come il borotalco. Quando ci rialzavamo eravamo infarinati come pesci da friggere. E niente docce… e non parliamo dell’igiene di cucine e gabinetti!! Sicuramente per noi funzionò la famosa “puntura” protettiva. Un bel allenamento per la guerra d’Africa! Continua a leggere

L’ultimo leone della Folgore!

Il 6 Aprile 2023 si è spento a Galatina l’ultimo leone della Folgore, Antonio Ancora: il caporale del 185° Rgt Artiglieria Paracadutisti della Divisione Folgore; il 9 Aprile avrebbe compiuto 102 anni.   Anche l’ultimo Folgorino delle origini ci ha lasciato… ma resta il ricordo di quelle gesta e di quegli uomini, che furono sicuramente tra i migliori soldati mai espressi dalle forze armate italiane.
Non c’era solo la Folgore a El Alamein ma l’eccezionalità di alcuni reparti e la cassa di risonanza delle loro gesta hanno, di fatto messo un poco in ombra quelli che combatterono accanto a loro. Non dimenticheremo certo gli altri nostri soldati che si sacrificarono nella sabbia insanguinata del deserto egiziano: L’Ariete e la Trento, la Trieste, la Brescia, la Pavia, la Bologna, la Littorio, ecc.. e ben sappiamo che nessuno dei reparti citati fu messo in grado di combattere almeno quasi ad armi pari contro l’Ottava Armata britannica: mancavano mezzi, benzina, cannoni controcarro, aeroplani e perfino l’acqua. Il Mediterraneo, altro che “Mare Nostrum”… ci era stato progressivamente precluso dagli inglesi e con esso le nostre linee di vitale rifornimento verso l’Africa.

In breve, come si svolsero i fatti che coinvolsero infine anche la Folgore:
Alla fine di marzo del 1941, completato l’arrivo dell’Afrikakorps e riorganizzate le divisioni italiane, Rommel, nuovo capo del corpo d’armata, iniziò le operazioni in Cirenaica riconquistando una ad una tutte le città e le postazioni perse nell’anno precedente dagli italiani, Dopo un’avanzata travolgente, esauritasi la spinta offensiva, le forze italo-tedesche si erano arrestate, nel giugno del 1942, di fronte all’ultima, ma ben predisposta linea difensiva britannica, che correndo dalla vasta depressione di El Qattara al mare, costringeva la direttrice di marcia verso Alessandria in una strettoia di una sessantina di chilometri… l’ideale per arroccarsi dietro una distesa di campi minati. Rommel, a corto di energie ma seguendo la sua idea di battaglia dinamica, il 1°luglio attaccò in netta inferiorità materiale ma prima della fine del mese era già chiaro il fallimento del tentativo.
A fine luglio viene sbarcata a Derna, in Libia, anche la Folgore, composta da quasi 5000 uomini, che aveva però ricevuto un addestramento di mesi per la conquista, con aviolancio, di Malta (e magari si fosse perseguito quell’obbiettivo, anziché abbandonarlo!); questa lascia tutto il materiale di lancio e, ovviamente sprovvista di adeguati mezzi di trasporto, viene subito spedita come semplice fanteria a 750 km a presidiare il lato sud di El Qattara.

Rommel, benché avesse ricevuto inadeguati rinforzi, ci riprovò tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, con quella che sarebbe stata chiamata la battaglia di Alam Halfa (o seconda di El Alamein); anche questo secondo tentativo fallì e fu subito chiaro che, a quel punto, alle esauste truppe italo-tedesche non rimaneva che attendere la sicura controffensiva nemica.
La campagna in Africa Settentrionale  era stata un continuo andirivieni, lungo la via Balbia, tra l’Egitto e la Tripolitania, a seconda del successo di uno o dell’altro contendente, fino alla grande battaglia dell’ottobre 1942: e questa volta non ci fu andirivieni, perché lo slancio inglese si fermò solo in Tunisia, mentre gli americani cominciavano ad affluire in Marocco.
Italiani e Tedeschi, che, aggiungendo altri campi minati a quelli inglesi avevano trasformato il deserto egiziano in una trappola che ancora oggi miete vittime (oltre mezzo milione di mine), attesero che l’Impero scaricasse su di loro il proprio enorme potenziale messo a disposizione del nuovo comandante dell’Ottava Armata, Generale Montgomery.
L’operazione “Lightfoot” iniziò alle 21,40 del 23 ottobre 1942, quando un migliaio di pezzi d’artiglieria di ogni calibro iniziò a tempestare le linee difensive dell’Asse… trincee, ridotte e tane di volpe, scavate nella sabbia. Questo martellamento servì a indebolire decisamente le capacità di resistenza dei difensori e il colpo risolutivo venne con la successiva operazione “Supercharge” in cui le inesauribili riserve di Montgomery lanciarono un attacco in massa.
Nelle prime ore del 2 novembre, 800 carri britannici (300 erano Sherman americani) mossero contro le nostre linee: dopo 24 ore dall’inizio dell’attacco il nostro comando ne poteva schierare in tutto 35. La battaglia era persa e Rommel la sera del 4 novembre ordinò la ritirata revocando il folle ordine di Hitler di resistere che aveva, di fatto, condannato interi reparti alla distruzione.


Tra tutti i difensori di El Alamein, che caparbiamente resistettero fino alla fine contro forze enormemente superiori, si distinse, senza dubbio, la Divisione Folgore.
A El Alamein, la Folgore ebbe il suo gloriosissimo battesimo del fuoco e, al contempo, fu distrutta, consumata in un’insensata resistenza, a colpi di contrassalti e di bombe molotov, contro i carri inglesi da trenta tonnellate. Fu incenerito così uno dei migliori reparti che si fossero visti nei due conflitti mondiali: eredi degli Arditi di Sdricca di Manzano, eccezionalmente addestrati e motivati. Aldilà della gloria e dell’esempio di amor patrio, quell’impegno si rivelò un terribile spreco della migliore gioventù italiana. Ne rimangono, a perenne memoria, il sacrario di Quota 33, voluto dal grande Caccia Dominioni, Colonnello del Genio Guastatori, e il severo deserto egiziano, che restituisce ancora oggi cimeli della battaglia e resti di caduti.
Ma, più ancora, rimane il nostro dovere di ricordare questo sacrificio eroico, soprattutto oggi, che ne è scomparso anche l’ultimo testimone diretto.
Cieli blu, Caporale Ancora!