Quell’ultimo messaggio dell’Ariete…

L’ultimo messaggio dell’Ariete: Ariete accerchiata. Carri Ariete combattono”.
Immagini, filmati e ricostruzioni ci hanno permesso di conoscere l’eroico comportamento della “Folgore” a El Alamein. Qui si vuole rivolgere un riconoscente pensiero a quelli dell’”Ariete”; in particolare al XIII° Battaglione Carri della 132ª Divisione Corazzata “Ariete”, che dal 4 settembre al 22 ottobre 1942 era rimasto come riserva corazzata nel settore difensivo della Folgore e dal 23 ottobre al 5 novembre 1942, nella battaglia di El Alamein, si immolò eroicamente a fianco di quei paracadutisti.
All’alba del 4 novembre 1942 il XIII° Battaglione non esisteva più e al Comandante della sua 10ª Compagnia, Ten. Luigi Pascucci, venne assegnata la M.O. al valor militare alla memoria.
Il resoconto dettagliato tratto da: “El Alamein” del mitico Paolo Caccia Dominioni:


“L’Ariete, durante i primi nove giorni dell’offensiva, ha avuto impiego saltuario, senza impegnarsi a fondo ed è, nell’assieme, intatta, con 111 carri M13 del 132° Carri e 12 semoventi del 132° Artiglieria.
Dalle sue posizioni arretrate nel settore meridionale si è portata a nord il mattino del 3 novembre. Qui l’Ariete si schiera a difesa. Carristi e artiglieri corazzati sanno che contro gli Sherman non sono efficaci altro che i pochi pezzi da 75, 90 e 100 disponibili: per il resto potranno sparare gli innocui 47/32, a titolo puramente sentimentale, e farsi onorevolmente trasformare, in breve volger di ore, nelle troppo note “bare ardenti d’acciaio”, carro dopo carro, semovente dopo semovente, autoblindo dopo autoblindo. Tuttavia il morale della divisione è alto; si vuole accontentare lo spirito del Maggiore Pardi, a distanza dalla sua morte, e del Colonnello Maretti, insostituibile, lontano per gravi ferite, del Maggiore Pinna e del Maggiore Prestisimone, siciliano, che cambiava carro “a mano a mano che glielo uccidevano sotto”, come fosse un cavallo, fino a tre lo stesso giorno, come gli accadde a Bir Hakeim.
Ma il 132° Carri ha ancora buoni comandanti (Baldini, Vaglia, Grata) e anche il 132° Artiglieria (il Colonnello Mameli, i Maggiori Pasqualini e Viglietti) e la truppa sarà degna di questi nomi, mentre già il deserto si annerisce di grossi scarafaggi a schiere, gli Sherman che avanzano a ferro di cavallo mentre la RAF tempesta dal cielo.
La battaglia divampa sino dal mattino, con violenza tremenda.
Battaglioni carristi IX, X e XIII, gruppi semoventi V e VI: nessuno cede, ogni pezzo spara finché il mezzo non s’incendia. Quelli che restano contrattaccano. Alle 15,30 dello stesso 3 novembre è trasmesso un messaggio destinato a Rommel:
Carri armati nemici fatta irruzione a sud. Con ciò Ariete accerchiata. Trovasi circa cinque chilometri nord-ovest Bir el Abd. Carri Ariete combattono”.
Qui cessano le comunicazioni ufficiali. Poi si è saputo che il sottotenente Pietro Bruno si era lanciato con il suo plotone carri contro il nemico, per proteggere il ripiegamento del X battaglione. Ferito alla spalla il giorno prima, non aveva voluto allontanarsi. Ha comandato l’azione ritto fuori della torretta: lo hanno visto così anche dopo che una scheggia lo aveva colpito alla fronte, inondandogli il viso di sangue. Poi è scomparso nel rogo del suo carro. Nella notte combattevano ancora solo gli 11 carri superstiti della compagnia del tenente Luigi Pascucci del XIII Battaglione; il Tenente è stato ucciso e l’ultimo carro si è incendiato prima dell’alba”.

Lo sfondo storico della “Villa Margherita”, presente in tanti folgorini ricordi

Villa Margherita è una delle numerose “Ville” che costellano il paesaggio veneto e che testimoniano il lungo periodo fiorente della Serenissima; è sita in frazione Sant’Artemio a poco più di 3 km dalla DeDo sulla strada verso nord per Conegliano e, come già ricordato in un precedente articolo, fu probabilmente costruita fra il 1775 e il 1783 dal conte Giuseppe Santonini di Venezia e qualche documentazione si trova nel sito dell’Istituto Regionale Ville Venete.
Il futuro proprietario, conte Girolamo Manfrin (Zara 1742 – Venezia ott.1801), venne ad abitare a Venezia nel 1787 nel palazzo Priuli-Venier, dopo averlo acquistato e fatto restaurare dal famoso architetto veneziano Giannantonio Selva. Il Manfrin, con l’aiuto iniziale di finanziatori bergamaschi, era divenuto il più celebre appaltatore di tabacco dello stato veneto con grandi proprietà in Dalmazia e, appassionato d’arte, negli anni avrebbe poi lentamente riunito un’eccezionale raccolta. Nel giro di pochi anni il palazzo si venne riempiendo di oggetti e opere di vario genere: vi erano esposti oltre 800 pezzi di storia naturale, circa 800 libri di arte, architettura, archeologia e scienze naturali, nonché una collezione di 450 dipinti e svariate sculture. Divenne uno dei più visitati musei veneziani fino alla fine del XIX secolo.
Il Manfrin finanziò anche alcune pubblicazioni di tema artistico e rimase uno dei pochi veneziani ancora interessati a investire nell’arte mentre nere nubi si addensavano all’orizzonte alla vigilia della fine della Serenissima.
Infatti la Rivoluzione Francese del luglio 1789, pur ancora in preda a sommosse ed epurazioni interne (si conteranno alla fine non meno di 500mila morti), spinta in guerra da una coalizione europea, nell’aprile del 1796 aveva inviato un’armata, comandata da un giovane generale Napoleone, ad invadere il Regno di Sardegna alleato dell’Austria. Le tante vittorie ottenute su tutti i fronti dal rinnovato esercito (inizialmente degli “straccioni”) aumentarono però le mire espansionistiche avviate dal nuovo governo francese. La scusa accampata di inseguimento dell’esercito austriaco in ritirata permise ai francesi di invadere anche lo stato veneto senza causarne la immediata reazione. La Serenissima, benché dichiaratasi neutrale si trovò schiacciata tra le due potenze e non seppe scegliere, tra minacce e blandizie, il proprio destino divenendo infine pura merce di scambio. La resa ai Francesi del 12 maggio 1797 pose fine alla millenaria Repubblica, al più fiero e rispettato degli antichi Stati italiani che per secoli era stato una delle maggiori potenze europee.
Con il trattato di Campoformio, del 17 ottobre 1797 firmato dal generale Bonaparte e dal conte Ludwig von Cobenzl, lo stato veneto fu “ceduto” all’Arciducato d’Austria in cambio del riconoscimento della nuova “Repubblica Cisalpina” (Lombardia ed Emilia Romagna). Dal 18 gennaio 1798 le truppe austriache di Francesco II d’Asburgo-Lorena ne occuparono il territorio, dopo che l’esercito francese ebbe depredato o distrutto tutto quello che poteva per non lasciarlo agli austriaci (sparirono circa 30.000 opere d’arte). Continua a leggere

Il confine orientale…

Si è citata recentemente la cittadina di Jalmicco… ma nella memoria di molti folgorini rimangono tanti altri nomi che allora ricorrevano parecchio come Cormons, Gradisca, Pordenone, Casarsa, Sacile, Spilimbergo, Cervignano, Cividale, Palmanova, Tarvisio, Villa Vicentina, ecc. ecc. dove si svolgevano le manovre della nostra Divisione.
Sono nomi che riportano ad un unico luogo… il confine orientale dell’Italia.
Probabilmente pochi di quei giovani di leva si rendevano allora conto di frequentare una zona forse la più “tormentata” d’Italia. La guerra, a quei tempi, non era terminata da molto e aveva lasciato degli strascichi di tensioni che avrebbero potuto esplodere in un confronto armato. Di quei giovani erano pochi che erano venuti a sapere delle foibe… un insieme di eccidi di cui si voleva (e qualcuno vorrebbe ancora oggi) celare l’esistenza.
Ancora nel 1975 la visita del Presidente Leone alla foiba di Basovizza aveva suscitato forti proteste jugoslave!!!
Solo nel 2004 è stata emanata dal Parlamento una legge che istituiva il Giorno del Ricordo recitando: “… al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale“.
Nella vicina Istria e Dalmazia era avvenuta da poco una vera e propria “epurazione e pulizia etnica” costata la vita a circa 10mila e l’esodo di 300mila italiani mentre uno pseudo-esercito spostava di notte i confini tracciati da accordi internazionali.
E ancora negli anni ’60, mentre l’opinione pubblica italiana era presa dal boom economico, dai Beatles e dai capelloni, diverse volte i Mig di Tito avevano sforato, impuniti, lo spazio aereo giuliano.
Ma probabilmente non avevano riportato ai loro capi buone notizie avendo rilevato la presenza vicino al confine (estratto da una ricerca di Orazio Rivetti) la presenza di ben 85 caserme di varie armi, missili e… FOLGORE compresi!!
La nostra DeDo era allora in buona compagnia…

i nostri “nonni” ne hanno almeno 81…

Maggio 2020… ripensando a quel primo scaglione, III° ’58, che “indossò” per primo le mostrine e il nome di “Battaglione Trasmissioni Folgore“, il conto è presto fatto… se avevano appena compiuto i vent’anni, oggi ne hanno 81!!
E a noi piacerebbe ritrovarli ancora in salute tra di noi a raccontarci le loro esperienze. E quasi quasi le infaticabili ricerche del Grande Gianni ci hanno portato a quella iniziale soglia. Con grande apprensione e con animo in subbuglio per un crescendo di considerazioni, scorriamo intanto questo ritrovato elenco di giovani del I° ’59, ringraziando quel Giacomo Bologna che in esso vi compare.
In questo speciale elenco compare anche il ben noto giornalista Piero Ostellino (Venezia 9/10/1935 – Milano, 10/03/2018) che ha trascorso una vita intensa di impegni, anche internazionali, e attività e lasciandoci tanti scritti su cui meditare.
A quei tempi il servizio militare era di 18 mesi e la vita in caserma non disponeva certo di tante “comodità” di cui avrebbero poi usufruito i successori…
Sappiamo purtroppo che anche altri di quell’elenco ci hanno lasciato, e a tutti loro rivolgiamo un affettuoso pensiero R.I.P. … ma a tutti gli altri, seppur ancora oggi a noi sconosciuti, inviamo un fraterno abbraccio e tantissimi auguri.

E ricordiamo anche i comandanti di quel primo periodo… in quel 1959 Il Magg. Giuseppe Caneva subentrava al Cap. Giorgio Franceschino che aveva preso la carica dal Cap. Mario Bonanni, comandante della 183ª Compagnia Collegamenti. Infatti il Battaglione Collegamenti Folgore, costituito nel 1947, dal 1953 era stato ridotto a compagnia fino al 1° Novembre 1958 quando divenne il nostro Battaglione Trasmissioni Folgore.

erano gli anni della “guerra fredda”…

8 Maggio 1945… con la resa della Germania terminava la guerra “guerreggiata” in Europa ma ne iniziava un’altra di “manovra”… “indiretta” che più volte portò però il mondo sull’orlo di una guerra che sarebbe stata “atomica”.
Le tensioni che avevano portato allora i militari dei due blocchi, che si erano formati per via della “conferenza di Yalta”, erano iniziate nel 1947, poco dopo le fine della seconda guerra mondiale, con il blocco della città di Berlino da parte delle truppe sovietiche.
Proviamo a inquadrare storicamente il periodo del Battaglione Trasmissioni Folgore (Nov.1958 – Dic.1975) e vedere cosa succedeva nel mondo mentre i nostri baldi giovani, equipaggiati con materiale lasciato dagli anglo-americani, venivano addestrati per affrontare un eventuale, tremendo, conflitto.
Ebbene, sommariamente ricordiamo che prima di quel periodo era avvenuto: * nel 1949 si era costituita la NATO ed erano iniziati gli esperimenti atomici in URSS; * dal giugno 1950 al luglio 1953 si era combattuta la guerra di Corea; * carri armati sovietici avevano represso rivolte popolari a Berlino Est, 1953, e in Ungheria, 1956; * in Egitto, sempre nel 1956 sul Canale di Suez, avrebbero potuto scontrarsi truppe franco-inglesi con i russi che sostenevano Nasser. Gli eserciti in Europa:
Ordunque, nel 1958 è in atto il “Programma di allerta a terra dei bombardieri strategici armati di bombe nucleari“, quando:
• nel 1960 (maggio) un aereo spia americano Lockheed U-2 viene abbattuto nei cieli dell’URSS.
• nel 1961 viene avviato il “Programma di allerta in volo dei bombardieri strategici” mentre in aprile avviene l’invasione cubano-americana della baia dei Porci, in agosto inizia attorno a Berlino Ovest la costruzione del Muro e in ottobre si rischia lo scontro armato tra carri armati sovietici e statunitensi schierati al Checkpoint Charlie. Il Muro verrà abbattuto nel 1989 ma negli anni oltre 200mila berlinesi erano riusciti a emigrare e un migliaio erano invece morti nel tentativo,
• nel 1962 (ottobre) scoppia la crisi dei missili di Cuba. Mai così vicini alla guerra e in tutto il mondo si iniziò a costruire rifugi antiatomici.
• nel 1965 (marzo) parte la prima forza combattente americana in Vietnam del Sud.
• nel 1968 avviene l’invasione dei carri armati russi in Cecoslovacchia.
• nel 1975 finisce la guerra del Vietnam; gli americani avevano già iniziato da un anno la ritirata, dopo aver lasciato sul campo quasi 60.000 soldati, praticamente “nostri” coetanei.
Forse fu proprio la fine di quella guerra che determinò in quell’anno la prima riforma dell’Esercito Italiano… il “nostro” Battaglione cambia nome mentre la ferma viene ridotta a 12 mesi.
Certo la “guerra fredda” non era finita lì… infatti nel 1976, mentre in Friuli avveniva un terremoto, ecco l’intervento sovietico-cubano in Angola prima ed in Etiopia poi; nel 1979 l’invasione URSS dell’Afghanistan e quella americana nel 1983 dell’isola di Grenada; in tutto il mondo si erano accesi intanto focolai di guerriglia che, con forme diverse, arriveranno ai giorni nostri.
Nel 1986, con Gorbačëv e Reagan grandi protagonisti, si comincia a intravvederne la fine; la Divisione Folgore viene sciolta il 31 Ott. 1986.
Nel 1989 verrà abbattuto il Muro di Berlino e si può dire che la “guerra fredda” ebbe termine nel 1991 con lo scioglimento del Patto di Varsavia e quello subito successivo dell’Unione Sovietica.

Per quelli che l’89°….

In articoli precedenti si era parlato dell’89° Reggimento Fanteria, del suo glorioso passato, delle sue caserme sparse per la Liguria, ecc. e questo per ricordare ai tanti Folgorini” dove, con facce da sbarbati, hanno imparato a marciare, a sparare, a tirar bombe e “accidenti” a superiori e commilitoni! Ora si presenta un’occasione ghiotta per riparlarne perché un ben noto “nonno” CM Gianni (che in questi anni si è sbattuto da mattina a sera per rimettere insieme un po’ i cocci di quegli sciamannati che costituivano il Battaglione Trasmissioni Folgore) si è ritrovato in mano un pezzo di Storia. Molti giovani partivano allora con l’entusiasmo dei vent’anni e orgogliosi di poter dimostrare a sé stessi e al mondo di essere in grado di “servire il Paese”… erano i tempi in cui ancora qualche nonna ricordava: “chi non è buono per il Re non è buono neanche per la Regina….“. E’ vero che c’era la guerra in Vietnam, dove giovani come noi venivano massacrati ogni giorno, la guerra tra Israele e i Paesi Arabi, gli attentati in Alto Adige e poi anche quelli delle Brigate Rosse e guerriglie in ogni dove… ma i giovani italiani sarebbero stati “pronti”! E quel piccolo seme di orgoglio, per chi lo seppe cogliere, fu alimentato proprio in quel primo periodo di vita militare quando ci si “rese conto” di essere parte di una comunità molto più grande della nostra città. Le strutture e l’organizzazione dell’89° accolsero allora migliaia di giovani insegnando loro cos’era una SRCM, un Garand o un Mab ma anche a condividere gioie e dolori, a marciare e, perché no, anche a cantare insieme.

E allora, ripensando a quegli, a volte, impegnativi momenti si risentano queste note dell'”Inno dell’89° Reggimento Fanteria Salerno” che spingono al coraggio e all’audacia… le parole oggi suonano un po’ troppo retoriche e “datate”… forse come lo sono, oggi, i giovani di allora!

Oggi l’89° esiste solo nei ricordi di tanti “ex” e anche le sue caserme sono in abbandono… è arrivato da tempo per loro il 90°… di calcistica memoria!!

Dedicato a due Comandanti “speciali”

Accomunati da una tragica fine e dal grande rispetto dei propri soldati….

Enrico Mino (Mandello Lario, 10/04/1915 – Girifalco, 31/10/1977), uscito sottotenente nel 1936 dalla Regia Accademia, partecipò alla seconda guerra mondiale in Nord-Africa e venne fatto prigioniero in Tunisia nel 1943 (insieme agli ultimissimi sopravvissuti della gloriosa Folgore). Al ritorno dalla prigionia con il grado di maggiore entrò nello Stato Maggiore dell’Esercito e poi, come colonnello, nel comando NATO del Sud Europa; fu anche a Madrid come addetto militare dell’ambasciata italiana. Nel 1962 divenne generale di brigata e nel 1966 generale di divisione, al comando della Folgore, e con incarico di consigliere militare aggiunto presso la presidenza della Repubblica. Dopo la promozione a generale di C.d.A., fu nominato Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. In quel ruolo, fu vittima di un “incidente aereo” mentre si recava in Calabria. L’elicottero precipitò sull’altopiano della Sila, nei pressi di Girifalco, e con lui morirono altri quattro militari. I “Folgorini”, soprattutto quelli che prestarono servizio a Villa Margherita, non potranno mai dimenticare. R.I.P.

Tra gli atti terroristici riconducibili al regime del colonnello Gheddafi, vi è l’attentato al DC10, della compagnia francese Uta, del 19 settembre 1989 in cui perirono 170 vittime tra le quali 10 cittadini italiani. L’aereo esplose mentre stava sorvolando il deserto del Ténéré sulla rotta Brazzaville-Parigi e fu provato il coinvolgimento del regime libico. Nel cimitero parigino di Père Lachaise c’è una stele che ricorda l’attentato con tutti i nomi delle vittime.
Su quel volo c’era anche il nostro stimato e amato Capitano Gioacchino Diasio di 51 anni.
La politica italiana ha probabilmente da tempo rimosso dalla memoria quell’evento, ma noi “Folgorini” non potremo dimenticare mai il nostro compianto capitano. R.I.P.

68 3° - 2° comp- De Biasio Mino

Questi due Ufficiali compaiono in diverse foto del 1968 con altri ufficiali (TCol. Omero Petricci, Cap. De Meo, Sten Pallottini, ecc.) ma soprattutto in mezzo ai loro soldati che, in ogni immagine, hanno volti sorridenti e paiono stringerli in un grande abbraccio… resterà ad essi per sempre l’orgoglio di averli conosciuti e aver condiviso momenti della vita con queste due “speciali” persone.

 

El Alamein, il sacrificio della meglio gioventù

In tanti libri si può oggi ritrovare la storia dell’originaria Divisione Folgore e di quella epica battaglia che la vide protagonista e vittima sacrificale. Ma un libro scritto da un grande personaggio che non vi apparteneva ma che con essa condivise i momenti più tragici, sembra dare una visione più complessiva dell’evento e, con grande umanità, descriverne gli eventi : “Alamein 1933-1962” di Paolo Caccia Dominioni – Vincitore premio Bancarella 1963 con motivazione certamente condivisibile: “Il libro che, meglio di ogni altro, ha raccontato la battaglia simbolo della guerra sul fronte d’Africa”.
L’autore, era comandante del XXXI° Battaglione Guastatori del Genio Alpino quando fu aggregato alla Divisione Folgore durante la battaglia di El Alamein.
Il destino di Paolo Caccia Dominioni, soldato e ingegnere, umanista, esploratore e scrittore, è indissolubilmente legato al nome di quel luogo perso nelle sabbie del deserto africano. Il suo primo viaggio colà, come esploratore, nel 1933; poi vi ritorna con il Battaglione Guastatori per la epocale battaglia, e poi ancora dal 1948 al 1962 per la lunga ricerca, paziente e pericolosa (oltre un milione di mine, dei sei milioni e mezzo, non erano ancora state dissotterrate) dei corpi grazie alla quale più di cinquemila soldati italiani caduti troveranno l’ultima casa nel Sacrario da lui progettato e costruito.
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Paolo Caccia Dominioni, Nerviano 1896 – Roma 1992, il 24 maggio 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, ancora studente di ingegneria, si arruola nei “bersaglieri ciclisti” ma, dopo cinque mesi, entra nella Accademia Militare del Genio e partecipa poi, come tenente, ai combattimenti sull’Isonzo dove si guadagna il primo riconoscimento, Medaglia di Bronzo al V.M. Nel 1924, tornato civile e laureatosi in ingegneria, apre uno studio al Cairo, progettando importanti edifici in tutto il Medio Oriente. Richiamato in servizio, partecipa nel 1935 alle operazioni in Etiopia guadagnandosi un’altra decorazione.
Agli inizi del 1940, mentre stava dirigendo i lavori per la costruzione dell’Ambasciata d’Italia ad Ankara, venne richiamato in servizio per la quarta volta e assegnato al Servizio Informazioni Militare. Insoddisfatto di questa collocazione di retrovia, ottiene il trasferimento al Genio Guastatori Alpino destinato all’impiego in Russia; nel luglio 1942 gli viene invece affidato il comando del 31º Battaglione Guastatori in partenza per la campagna del Nord Africa.
Né la Folgore né i Guastatori cedettero terreno al nemico ma, quando giunse l’ordine di ritirata, si ritrovarono accerchiati. Riuscì a forzare il blocco con metà del suo battaglione e di altri reparti unitisi; raggiunge Marsa Matruh e contribuisce a bloccare temporaneamente l’Ottava Armata. Il suo battaglione fu l’unico reparto organico superstite del X° C.dA.; per questo, viene decorato con Medaglia d’Argento al V.M.
Rimpatriato, nel maggio 1943 promuove la ricostituzione del suo Battaglione, Genio Guastatori Alpini, ad Asiago e ne assunse il comando fino all’8 settembre 1943. Sfugge alla cattura tedesca e decide di darsi alla macchia entrando a far parte della brigata partigiana Garibaldi. Fu arrestato e subì duri trattamenti ma poi fortunosamente scarcerato per un cavillo il 15 febbraio 1945. Le sue capacità militari lo portarono alla carica di Capo di Stato Maggiore del C.V.L. e alla fine della guerra ricevette la Medaglia di Bronzo al V.M.
Dopo la fine della guerra riprese ben presto la sua attività nello studio di ingegneria del Cairo, e nel 1948 ottenne l’incarico dal governo italiano di risistemazione del cimitero di guerra… con un solo sergente come collaboratore!
La missione durò quattordici anni, spesi in gran parte nel deserto con molta abnegazione, alla ricerca ed esumazione delle salme dei caduti di ogni nazione sparse nel vasto campo di battaglia (con estesi campi minati ancora efficienti che, negli anni di ricerca, provocarono la morte di sette collaboratori indigeni), e culminò con la costruzione del sacrario italiano da lui progettato.
Paolo Caccia Dominioni, che parlava correntemente tedesco, francese, inglese, arabo, continuò la sua attività di progettista e scrittore anche in tarda età fino alla morte, sopraggiunta all’ospedale militare del Celio all’età di 96 anni nel 1992. Nel 2002, in occasione del 60º anniversario della battaglia di El Alamein, il Presidente della Repubblica ha concesso al tenente colonnello Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo un ultimo riconoscimento, la Medaglia d’Oro al Merito dell’Esercito “alla memoria”.

Un cinegiornale propagandistico d’epoca dell’Istituto Luce mostra il 31º Guastatori in azione, con effetto assai realistico, e vi appare anche il Maggiore Caccia Dominioni dare istruzioni ai suoi uomini con in testa il suo amatissimo cappello alpino.

Raduni, vediamo cosa c’è in “soffitta”…

old 0Quella dei “Raduni” è anche una buona occasione di aver tra le mani “vecchi arnesi” che alcuni tra i partecipanti usarono nel loro fatidico periodo “trasmissivo”. Molto bene hanno fatto i responsabili della Caserma a mantenerne alcuni esemplari per dare una “profondità storica” ai giovani e far toccare loro con mano che anche, e sopratutto, nei tempi passati la possibilità di creare collegamenti tra i Reparti era una cosa tutt’altro che semplice.
Il materiale esposto non è molto e le foto che lo riprendono non sono proprio dedicate ma cercheremo nei prossimi anni di migliorare tale documentazione…

…e allora vien voglia di andare a cercare qualcosa di quel che ai tempi ci veniva dato da studiare..

….eh già!!

a proposito di vecchi apparati…

Ecco dei reperti veramente eccezionali segnalati dall’amico Sandro Grossetti, ACS della 1° Compagnia 1°/’70 e da anni appassionato radioamatore:   
Un telegrafo e un telefono da campo sono stati raccolti dalla nonna di un mio commilitone nei primi giorni successivi alla ritirata di Caporetto iniziata quel tremendo 24 ottobre 1917.
   
Questo è successo in una località nei pressi di Ragogna, Udine, dove si svolse appunto la “Battaglia di Ragogna” nella quale alcuni reparti furono impegnati nel tentativo di ritardare la rapida avanzata degli Austro-Tedeschi verso il fiume Tagliamento.
Contemporaneamente, pochi chilometri più a sud, a Pozzuolo del Friuli, il Reggimento “Lancieri di Novara” caricava a cavallo armato di lance e spade.
Per noi, della vecchia Folgore e della De Dominicis, il nome “Lancieri di Novara” è particolarmente significativo, ma a Pozzuolo si sacrificarono anche il Reggimento “Genova Cavalleria” e la Brigata “Bergamo”.

Di questi avvenimenti si può trovare documentazione nei seguenti link:
La Battaglia di Ragogna, La Battaglia di Pozzuolo del Friuli e nell’interessantissimo sito Itinerari della Grande Guerra.

e i Trasmettitori della Folgore ricorderanno per sempre Treviso…

Treviso-GonfaloneQuesta bella cittadina veneta che ci accoglie tutti gli anni, vive nei nostri ricordi di giovani che scorrazzavano per le sue vie sciamando dalle caserme e affollando i suoi bar, i cinema, le trattorie (dove si integravano i pasti serviti in mensa che non erano proprio “luculliani”), i giardinetti, le osterie (dove si consumavano patatine fritte con litri di “Clinton”), e la stazione (per qualche giretto domenicale magari non proprio autorizzato). E in questa città ognuno di noi ha vissuto almeno o un’estate caldissima o un inverno freddo (in camerate senza riscaldamento) e brumoso (immersi nella nebbia, le ore di guardia notturne sembravano non passare mai) ma poi la Via dei Lancieri di Novara Treviso viacon quattro passi ci portava in un Centro Città pulito e animato da una popolazione allegra e laboriosa.
Guardando le targhe apposte nelle vie, qualcuno di noi già ricordava la lunga e gloriosa storia di Treviso, fin dall’antica Tarvisium, ai giorni nostri. E come non ricordare che dopo i primi bombardamenti aerei ricevuti, con gran spavento, addirittura durante la prima guerra mondiale, ce ne fu uno nel 1944 tra i più tremendi subiti in Italia:

Il bombardamento a tappeto avvenne il 7 Aprile 1944, giorno di venerdì santo.
L’incursione degli aerei alleati durò 7 minuti a partire dalle 13.24 e, benché preceduto dalle sirene d’allarme, fu devastante. 159 Fortezze Volanti (scortati da altrettanti caccia Thunderbolt), Bombe treviso 7 -stazione primaBombe treviso 6 -stazionesganciarono circa 2.000 bombe, con probabile obiettivo la stazione, ma che si sparsero su gran parte della città, distruggendo e incendiando interi quartieri: 3783 edifici distrutti e le macerie continuarono a fumare per due settimane. Le cifre sui morti sono discordanti, ma non furono meno di 1000 nella sola città e comuni limitrofi (123 bambini in località Santa Maria del Rovere) ma molti dei corpi restarono a lungo sotto le macerie e non si seppe il numero dei morti tra i militari tedeschi, presenti in circa 5.000 unità e distribuiti in varie zone della città. E poiché a questo bombardamento ne seguirono altri, alla fine della guerra i morti ufficialmente furono 1600 (molti dei quali nei rifugi antiaerei vulnerabili per bombe da 500 kg) e la distruzione o danneggiamento fu di oltre l’80% del patrimonio edilizio, compresi i principali Bombe treviso 00 -pal300Treviso -Piazza-Signorimonumenti storici e artistici.
Ogni anno il tragico evento viene ricordato in piazza dei Signori da autorità civili, religiose e militari e, mentre la bandiera viene lasciata a mezz’asta durante tutta la giornata, la campana del cosiddetto Campanòn dea Piassa (la Torre Civica) suona a lutto per 7 minuti dalle 13,24, durante i quali si interrompono le attività cittadine.”