89° Reggimento di Fanteria Salerno… altri ricordi

Per molti di quelli che diverranno in seguito i “Folgorini” del Battaglione Trasmissioni Folgore, le caserme dell’89° Reggimento rappresentarono il primo impatto con la vita militare. Per questo e per il repentino, e notevole, mutamento di vita, quel nome è rimasto impresso nella memoria e basta poco perché riemerga riportando alla luce fatti lontani nel tempo. Le segnalazioni dei commilitoni, Dante Gianoli e Renato Scapin, ci ricordano due di questi avvenimenti capaci di suscitare sentimenti diametralmente opposti: simpatico il primo – Arma di Taggia 1957 – ma veramente tragico il secondo – Savona 1967. 89° - Banfi89° - Bargeggi c

I nostri simboli

Il nostro Battaglione Trasmissioni “Folgore” compare in buona e grande compagnia già nell’elenco dei “Corpi Disciolti” edito dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito nel 1995. Alcune delle cose restano però è ancora “vive” e altri uomini in divisa ora le custodiscono nella Caserma De Dominicis… si tratta dei valori che una bandiera rappresenta.
Ai nostri tempi ben pochi militari ebbero occasione di vederla… come una reliquia chiusa in un mobile a vetrina, si trovava in un angolo dell’ufficio del Ten. Colonnello Comandante del Battaglione.
Quella bandiera era stata sui campi di battaglia all’inizio del 1945 portata dal 184° Battaglione Misto Genio comprendente la “Compagnia Collegamenti”. Questi facevano parte del Gruppo di Combattimento “FOLGORE”, unità dell’Esercito Cobelligerante Italiano, appena costituitasi anche con la partecipazione di componenti della gloriosa Divisione di El Alamein. Fu il 1° marzo 1945 che quella “Compagnia Collegamenti” raggiunse il fronte e partecipò ai combattimenti sulle posizioni delle valli del Senio e del Santerno in sostituzione di una G. U. Britannica. Terminato il conflitto, già il 15 ottobre 1945 quel “Gruppo” si trasformò in Divisione di Fanteria Leggera “FOLGORE” (per alcuni anni fu vietato all’Italia di avere truppe paracadutate) e la Compagnia suddetta in Battaglione Collegamenti “Folgore” e, per il valoroso comportamento in battaglia di quei nostri predecessori, la Bandiera del Battaglione fu decorata, con decreto del 24 luglio 1947, di Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Quell’eroico simbolo, rappresentante dunque il sacrificio di tanti valorosi giovani, fu ereditato dal nostro Battaglione Trasmissioni “Folgore” che seppe custodirlo con onore e poi integrato di altri insiti valori, consegnarlo al successore Battaglione Trasmissioni “Cansiglio”, supporto della Divisione Meccanizzata FOLGORE derivato nel 1976 dalla sua trasformazione.
Il motto riportato nel crest è: “Tenace, Infaticabile, Silente“.
Il nostro Battaglione Trasmissioni “Folgore” non ebbe nella sua breve esistenza (1958-1975), come tante delle altre storiche unità dell’Esercito Italiano descritte nel volume di cui sopra, un proprio stemma araldico. Non per caso però tutti i suoi riferimenti li troviamo riportati nello stemma del successore “Cansiglio” che fu creato per il decreto 7 settembre 1977… infatti sappiamo che il progetto fu dell’allora Aiutante Maggiore Aleardo Guerra che era giunto in forza al “Folgore” nel marzo del 1973! Eccone la rappresentazione:

Lo Scudo è diviso in 4 settori e sormontato da Corona Turrita. Il nastro azzurro annodato alla corona rappresenta la ricompensa al valor militare ricevuta nel 1947.
1° quarto – stemma di Tarquinia, città nella quale si costituì nel 1937 il primo reparto dal quale il battaglione trae le origini.
2° quarto – la “folgore” e il “silfio”, pianta estinta della Cirenaica, simboleggiano il legame storico fra il Battaglione e la Divisione “Folgore” nella quale la “Compagnia Collegamenti” era inquadrata e l’Africa Settentrionale ove operò nel secondo conflitto mondiale.
3° quarto – è il distintivo di partecipazione alla Guerra di Liberazione alla quale prese parte come “Compagnia Collegamenti” del 184° Battaglione Misto Genio.
4° quarto – stemma di Treviso, città nella quale il Battaglione ha preso sede nel 1951.
La Lista bifida dorata riporta il motto: “VIVIDA FOLGORE VIVIDO INGEGNO”.

… c’era una volta il “cubo”…

..ma non si parlava di geometria intendendo uno dei 5 solidi platonici, che presenta 6 facce quadrate, 8 vertici e 12 spigoli nel quale in ogni vertice si incontrano tre spigoli ortogonali due a due… no, no!
…e non era neppure quello di Rubik! Quel magico esaedro, o cubo magico,  inventato dal professore di architettura e scultore ungherese Ernő Rubik nel 1974 che faceva impazzire i giovani negli anni ’80 nel tentativo di ricombinare gli stessi colori su tutte le facce….no, no!
Il nostro “cubo” era l’invenzione, tutta militare, per la mattutina sistemazione del proprio giaciglio notturno che, oltre ad una movimentazione “igienica” di coperte e lenzuola, permetteva poi ai militari di corvè una facile pulizia delle camerate… a quei tempi non vi erano le reti nelle brande ma teli sostenuti da ganci; la metà inferiore del telo andava sganciata e ripiegata anch’essa e il tempo massimo previsto per fare un “cubo” perfetto era di due minuti. Quando si arrivava alla DeDo, si era ormai già “esperti” e il “cubo” era una di quelle azioni che ogni mattino, magari ancora con gli occhi assonnati, si facevano in automatico senza più pensare, già tutti presi a fare in fretta per la prima adunata…
Ma un breve filmato, molto simpatico, apparso recentemente su Youtube, ci mostra i visi un po’ stupiti di “burbe” che assistono alla dimostrazione di un istruttore del corretto procedimento… stupore che non deve essere molto diverso di quello apparso su alcuni visi dei nostri tempi perché anche allora, tra di noi, vi erano quelli ai quali il letto a casa veniva rifatto da mamma…

Lo sfondo storico della “Villa Margherita”, presente in tanti folgorini ricordi

Villa Margherita è una delle numerose “Ville” che costellano il paesaggio veneto e che testimoniano il lungo periodo fiorente della Serenissima; è sita in frazione Sant’Artemio a poco più di 3 km dalla DeDo sulla strada verso nord per Conegliano e, come già ricordato in un precedente articolo, fu probabilmente costruita fra il 1775 e il 1783 dal conte Giuseppe Santonini di Venezia e qualche documentazione si trova nel sito dell’Istituto Regionale Ville Venete.
Il futuro proprietario, conte Girolamo Manfrin (Zara 1742 – Venezia ott.1801), venne ad abitare a Venezia nel 1787 nel palazzo Priuli-Venier, dopo averlo acquistato e fatto restaurare dal famoso architetto veneziano Giannantonio Selva. Il Manfrin, con l’aiuto iniziale di finanziatori bergamaschi, era divenuto il più celebre appaltatore di tabacco dello stato veneto con grandi proprietà in Dalmazia e, appassionato d’arte, negli anni avrebbe poi lentamente riunito un’eccezionale raccolta. Nel giro di pochi anni il palazzo si venne riempiendo di oggetti e opere di vario genere: vi erano esposti oltre 800 pezzi di storia naturale, circa 800 libri di arte, architettura, archeologia e scienze naturali, nonché una collezione di 450 dipinti e svariate sculture. Divenne uno dei più visitati musei veneziani fino alla fine del XIX secolo.
Il Manfrin finanziò anche alcune pubblicazioni di tema artistico e rimase uno dei pochi veneziani ancora interessati a investire nell’arte mentre nere nubi si addensavano all’orizzonte alla vigilia della fine della Serenissima.
Infatti la Rivoluzione Francese del luglio 1789, pur ancora in preda a sommosse ed epurazioni interne (si conteranno alla fine non meno di 500mila morti), spinta in guerra da una coalizione europea, nell’aprile del 1796 aveva inviato un’armata, comandata da un giovane generale Napoleone, ad invadere il Regno di Sardegna alleato dell’Austria. Le tante vittorie ottenute su tutti i fronti dal rinnovato esercito (inizialmente degli “straccioni”) aumentarono però le mire espansionistiche avviate dal nuovo governo francese. La scusa accampata di inseguimento dell’esercito austriaco in ritirata permise ai francesi di invadere anche lo stato veneto senza causarne la immediata reazione. La Serenissima, benché dichiaratasi neutrale si trovò schiacciata tra le due potenze e non seppe scegliere, tra minacce e blandizie, il proprio destino divenendo infine pura merce di scambio. La resa ai Francesi del 12 maggio 1797 pose fine alla millenaria Repubblica, al più fiero e rispettato degli antichi Stati italiani che per secoli era stato una delle maggiori potenze europee.
Con il trattato di Campoformio, del 17 ottobre 1797 firmato dal generale Bonaparte e dal conte Ludwig von Cobenzl, lo stato veneto fu “ceduto” all’Arciducato d’Austria in cambio del riconoscimento della nuova “Repubblica Cisalpina” (Lombardia ed Emilia Romagna). Dal 18 gennaio 1798 le truppe austriache di Francesco II d’Asburgo-Lorena ne occuparono il territorio, dopo che l’esercito francese ebbe depredato o distrutto tutto quello che poteva per non lasciarlo agli austriaci (sparirono circa 30.000 opere d’arte). Continua a leggere

Una storia incredibile…

Un racconto incredibile, preso dal sito “Divisione Folgore 1945-1986”, che merita di essere ricordato; è sicuramente ambientato nel 1992 quando i soldati italiani (parà della Folgore e del Tuscania e gli incursori del Col Moschin), sotto l’egida dell’ONU, furono impegnati fino al 1995 con il compito di riportare la pace in una Somalia devastata dalla guerra civile.
La mattina che se lo videro davanti, i ragazzi del Tuscania non credevano alle loro orecchie: “Ho saputo che gli italiani sono tornati e voglio riprendere servizio”.
Queste parole pronunciate con un tono che non ammetteva repliche, erano proferite da un Somalo decisamente anziano, come tutti coloro che hanno combattuto sotto il tricolore. Sciré di anni ne dovrebbe dovuto avere oltre ottanta ma ancora dimostrava una vitalità insospettabile. Fu subito “adottato” dagli incursori del Col Moschin, i quali realizzarono per lui una piccola baracca dove l’anziano combattente pose il suo acquartieramento, avendo cura di farsi portare un venerando moschetto Modello 91 dal nipote.
Tutte le mattine si presentava per l’ispezione al Generale Loi, facendo ruotare con insospettabile maestria il fucile per mostrare quanto fosse pulito.
Con un altro colpo riportava l’arma alla spalla e se il Generale si dimenticava di dargli il “riposo”, lui rimaneva impietrito sul “presentat-arm”. Nelle cerimonie e alla presenza di autorità con la sua voce profonda proferiva un “Viva il Duce, viva il Re, viva l’Italia” nonostante gli fosse stato ripetuto più volte che in questo mezzo secolo qualcosa da noi era mutato. Caro vecchio Sciré; esempio emblematico d’attaccamento all’Italia in un periodo molto difficile per il nostro Paese. Gli incursori, al termine di un breve esame e di una prova ginnica (per forza d’età forzatamente ridotta) hanno voluto consegnargli l’ambitissimo distintivo da Incursore e lui è rimasto commosso da questo gesto. Lui che cammina ancora scalzo ha visto finalmente ripagato l’attaccamento all’Italia: “Italiani grandi soldati, fare culo così agli Abissini” era solito ripetere.

Effetto compagnia, effetto ritrovo, effetto virus…

Sono ormai lontanissimi i tempi quando si lasciava esplodere il primo “effetto“… stare in compagnia era quasi sempre sinonimo di far baldoria con l’esuberanza dei vent’anni che si esprimeva con urla, battute e bottiglie che si svuotavano in fretta…
L’effetto “ritrovo” è invece legato a un lungo trascorso di anni… nasce dal di dentro il sorriso che illumina i volti di persone non più giovani che si scambiano abbracci e pacche sulle spalle e che vedi intente ad esaminare vecchie foto e a rievocare battute ancora ben presenti e fattacci come fossero appena avvenuti… ma anche qui non mancano certamente le bevute che però ora si chiamano “brindisi”…

Ma per il terzo “effetto“, che dobbiamo ancora scoprire, noi confideremo nel nostro Arcangelo che per noi sicuramente provvederà a sospendere quella “trasmissione“, questa volta indesiderata, di virus che tanto male ha fatto al nostro Paese!

ANGET… caserme… ricerche… ecc…

Si dice che un parametro importante per valutare lo sviluppo di un Paese sia il numero di laureati che produce; è senza dubbio vero perché ad ogni laurea corrisponde la presentazione di una “tesi”, che non è altro che una ricerca approfondita capace di gettare luce su un argomento sconosciuto o di relazionare in modo nuovo più argomenti conosciuti. Ma, fortunatamente, in un paese di alto livello non sono solo gli studenti a dedicare tempo e fatica a questo tipo di attività. Anche tante altre persone, prese da innata curiosità o da profondo interesse e non trovando materiale pubblicato su un certo argomento, vi si dedicano con passione.
E questo è il caso di un nostro giovane (è solo del I° ’72) commilitone che è anche associato ANGET… ma non uno qualunque; ecco la sua presentazione: “…la mia Tessera ANGET l’ebbi in caserma il giorno del congedo -13 aprile 1973- al quale erano presenti alcuni membri della Sezione ANGET di Treviso. In congedo, arriva il mese di nov.’73 e mi segno il promemoria di andare a mandare un vaglia (allora non esistevano i bonifici!!) alla Sez. di Treviso per rinnovare l’adesione; ma, guarda i casi della vita, proprio quel giorno, leggo con stupore sul giornale locale che in città un anziano Colonnello del Genio, Ennio Gallo, vuole ricostituire a Biella la Sezione ANGET che, nata nel 1961, si era sciolta nel 1970. Non ci penso due volte e mi presento da lui. Ebbene, anno dopo anno, non solo ho sempre pagato il “bollino” ma sono entrato nel Consiglio Direttivo, poi eletto Segretario, poi Segretario-Tesoriere, poi Vicepresidente e dal 2010 Presidente della Sezione. I 48 bollini su quella Tessera sono per me un vanto e una soddisfazione“. Oggi anche l’ANGET è entrata a far parte della grande famiglia della Protezione Civile e l’opuscolo descrittivo (che si può scaricare qui) recita: ”.. L’ANGET è una Associazione d’Arma e di volontariato per la Protezione civile e per interventi umanitari anche all’estero, aperta a tutti coloro che hanno prestato, o prestano, servizio in reparti ed organismi del Genio e delle Trasmissioni.… è apolitica e apartitica, è senza fini di lucro ed ha lo scopo di mantenere vivo il senso di solidarietà tra i militari in congedo e quelli in servizio, nel culto dell’ideale della Patria e nella esaltazione dei valori e delle tradizioni del Genio e delle Trasmissioni”.
Ma torniamo al nostro commilitone… si sa che il massimo riconoscimento cui aspira ogni estensore di ricerche è di vederne la pubblicazione ossia di rendere partecipe del proprio impegno l’intera comunità interessata all’argomento trattato. Ebbene, il nostro commilitone è oggi orgoglioso di presentare un proprio lavoro dal titolo:
LE CASERME IN ITALIA – Attive e Dismesse”.
Qualcuno potrebbe pensare che il Ministero della Difesa abbia già a disposizione un elenco analogo anche perché il Federalismo Demaniale aveva reso indispensabile tale “inventario”, ma il lavoro qui esposto, costato oltre due anni di pazienti ricerche, è completato sia dal nome della caserma che di tutti i corpi militari che in quelle quasi 900 piazzeforti ci lavorano, o lavorarono. COMPLIMENTI e… ad majora!

Ahi, ahi… marchiamo visita… ma poi..

Non sempre filava tutto liscio in caserma… Verissimo che, dopo aver assorbito la “micidiale” pozione contenuta nella famigerata “puntura nel petto” (per la quale alcuni erano addirittura svenuti!!), erano veramente rari i malanni che aggredivano i giovani militi nonostante le sudate, le raffreddate e gli strapazzi cui andavano soggetti. (..e un giorno parleremo di quella volta che alla Turinetto di Albenga vennero effettuate le vaccinazioni “per finta”). Ma forse proprio la vita all’aria aperta e i continui impegni erano proprio la miglior medicina per quegli anni.
Però, tanto per non lasciare senza lavoro i tenenti medici (..un saluto a Gajo, Pizzinato, Cardelli, ecc.) e gli infermieri (Segreto, Canciani, ecc.. sempre impegnatissimi come nelle foto) qualcuno si lasciava aggredire da un morbo. Malattie gravissime… infatti, due giorni in branda e poi via di nuovo di corsa in adunata e alla sera coi compagni a far bisboccia!
Ma ecco il racconto particolareggiato di uno di quei casi eccezionali:
Caserma De Dominicis, 11 Aprile 1971 (proprio a Pasqua …accidenti, pensavo) la mattina, finito il turno di guardia, mi ritrovo con il viso pieno di bolle rosse. Mi reco per la prima volta in infermeria e ti trovo altri 7/8 commilitoni anche loro nelle mie stesse condizioni… una bella, anche se piccola, epidemia di scarlattina..
(nota: La scarlattina è una malattia infettiva acuta contagiosa, caratteristica dell’età pediatrica! che, a differenza delle altre come rosolia e varicella, è provocata da batteri anziché da virus. Prima dell’avvento degli antibiotici, la scarlattina però rappresentava una delle principali cause di morte e, talvolta, di complicanze tardive e, spesso, di problemi alle valvole cardiache).
Il tenente medico, preoccupato, ci ordina subito il trasferimento all’ospedale militare di Padova… armi e bagagli e via sul camion… quarantena (si fa per dire.. non certo 40 giorni) per tutti.. affidati alle amorevoli cure del colonnel… cioè di Suor Emira, che ci voleva ogni mattina alla sveglia ai piedi della branda in ginocchio per la preghiera!! E dopo qualche giorno via tutti in licenza di convalescenza di 10 giorni (da unirsi però all’ordinaria… e fu quello l’unico rientro a casa di tutto il servizio).
Al ritorno (pensavo) me la prendo calma… invece appena rimesso piede nella De Dominicis via a preparare armi e bagagli per partire a fare esercitazioni. E così passo tutto il periodo Maggio/Giugno 1971 al campo, nei boschi vicino Sequals (UD) e nella zona di Meduna. Beh, devo dire che mi ero ripreso bene perchè di quell’esercitazione ricordo che a Sequals c’era un apprezzato ristorante: “Al Fogolar”…. e l’abbuffata della sera della festa del 2 Giugno con tutti i commilitoni presenti della 1ª Compagnia! FOLGORE!!”
66 3° 1° comp Segreto old 68 1° 1° comp Canciani old70 3° 1° comp Maiolo old. Cardelli old Gajo old

Caro Arcangelo ti scrivo…

…e siccome sei molto lontano più vicino ti costruirò!
Fu così che quelli del I° ’67 della I° Compagnia del Battaglione Trasmissioni Folgore si prestarono a una colletta per creare un Arcangelo a portata di mano. Bravi e timorati ragazzi se si pensa al loro stipendio di 127 lire al giorno! Chissà, se in analoghe circostanze, oggi se potrebbero ancora trovare di simili. Fatto sta che misero in moto uno scultore (i particolari ci mancano e aspettiamo fiduciosi che qualcuno di loro ce li fornisca) per realizzare una statua del “nostro” protettore.
Non sappiamo chi la realizzò prendendo spunto da quella ben più famosa del Duomo di Orvieto, capolavoro dell’aretino Francesco Mochi (1580–1654, uno degli iniziatori del barocco) realizzata nel 1608, una delle poche in cui il nostro Gabriele è senza spade o gigli o trombe in mano.
E ci piace perché, anche se l’originale autore la intendeva come “Annunciazione”, noi la possiamo benissimo interpretare invece solo come un costante invito ad innalzare lo Spirito e rivolgere lo sguardo ad alti obiettivi.
L’Arcangelo è ancora librato nel volo, avviluppato nell’intreccio scomposto della veste, nel battito delle ali che sottolineano la tensione vibrante del corpo culminante nel braccio teso verso l’alto e, in più, ma solo nella “nostra” versione, con il volto illuminato da una serena fiducia. E sicuramente proprio di questa fiduciosa spinta verso il futuro avevano bisogno i tanti giovani che da allora nel piazzale della De Dominicis sotto sfilati sotto di essa.
Il significato del nome Gabriele è “forza di Dio” e deriva dal termine ebraico Gavriel. Ha un suono molto dolce e negli ultimi anni è tra i nomi maschili più amati, anche nelle versioni Gabriel e Gabrio, mentre al femminile è Gabriella. L’arcangelo Gabriele è una delle figure bibliche più note e importanti poiché ha il compito di annunciare i suoi messaggi tra gli uomini. Nelle Sacre Scritture è presente sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, è colui che comunica al profeta Daniele il piano di Dio, a Zaccaria l’arrivo di Giovanni, a Maria la sua gravidanza grazie allo Spirito Santo e farà pure da tramite tra Allah e Maometto per la scrittura del Corano… e capace di farci fare dei buoni collegamenti con i nostri pesanti apparati a valvole!!
Fu così che, in pompa magna e alla presenza di numerose autorità (nella foto il Gen. Mino) e finendo anche sulle pagine del giornale di Treviso, il “nostro” Arcangelo Protettore fu inaugurato quel 26 Marzo 1968….. dovete sapere che a quei tempi l’onomastico del “nostro” si festeggiava il 24 Marzo mentre, da anni, il nuovo calendario liturgico raggruppa in un unico giorno, il 29 settembre, la festa dei tre arcangeli (nel Nuovo Testamento il termine “arcangelo” è attribuito solo a loro tre: Michele (il protettore della Brigata Paracadutisti Folgore), Gabriele (chi meglio di lui che era il messo del Signore poteva proteggere le Trasmissioni) e Raffaele (che è la buona guida di tutti noi bravi viandanti).
Scherzi a parte, i nomi dei componenti di quel generoso I° ’67 della I° Compagnia del Battaglione Trasmissioni Folgore sono riportati nella targa posta nella base di quella statua che, da subito, divenne un importante punto di riferimento di tutta la caserma; a tutti quei nomi un riconoscente pensiero per aver abbellito e arricchito la nostra cara e vecchia DeDo.

Folgore… e poi 184° “Cansiglio”

Il nome “Cansiglio” è legato a doppio filo con la nostra DeDo… ma perché questo nome?
Cansiglio - mappaIl Cansiglio è un vasto altopiano circondato da foreste, situato tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia e diviso tra le province di Belluno, Treviso e Pordenone, ad un’altitudine compresa tra i 900m e 1200m nella regione dell’Alpago; si tratta di una conca “coronata” da cime rocciose: a sud-ovest il Costa, la Cima Valsotta, il Millifret e il Pizzoc, ad est il gruppo del Cavallo, oltre il quale si trova il Piancavallo. Sono presenti vari fenomeni di origine carsica, in particolar modo doline e inghiottitoi: i più celebri sono il Bus de la Lum, il Bus della Genziana e l’Abisso del Col della Rizza.
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Numerose sono le particolarità: Il microclima (nel 2005, in località “Val Menera” è stata misurata la temperatura minima di -35,4 °C all’altitudine di 905 m.) – I boschi di faggi e abeti rossi e la ricca flora – La prima menzione del luogo risale al 923: in un diploma dell’imperatore Berengario. La Repubblica di Venezia vi insediò un Capitano Forestale per lo sfruttamento delle risorse boschive, utili soprattutto alla realizzazione di remi. Nel 1944/45 si ebbero eventi legati alla guerra partigiana e alcune doline furono utilizzate come le ben più note foibe della Venezia Giulia. – Il Presidente Cossiga era solito trascorrervi le vacanze estive. Vi sopravvive una minuscola isola linguistica dell’antico popolo cimbro. Numerose e di vario tipo sono le manifestazioni sportive che vi si svolgono in ogni stagione (molte volte è stato attraversato dal Giro d’Italia). Abbondante e varia la fauna presente (caprioli, daini, linci, faine, volpi, lepri, scoiattoli, poiane, gheppi, falchi, aquile reali ecc. ecc. e da tempo anche lupi e orsi bruni).
Cansiglio quindi come il luogo storicamente prezioso…
Antichi reperti ci dicono che l’altopiano fu abitato già 10.000 anni fa, ma fino pochi anni fa (2011) era possibile anche vedere “reperti” molto più recenti di una postazione militare (caserma Bianchin) che fu molto importante dal 1964 al 1986. Si ricorda infatti che al Pian del Cansiglio era di casa anche la 1ª Aerobrigata Intercettori Teleguidati con l’Area Lancio del suo 59° Gruppo I.T. che vi teneva proprio lì, nascosti negli hangar (ora sede di Veneto Agricoltura) ma pronti all’uso, i propri missili terra-aria della NATO.
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E ora sappiamo che piani militari segreti del Patto di Varsavia degli anni sessanta, resi pubblici nel 2005, prevedevano un attacco all’Italia attraverso l’Austria con un bombardamento nucleare preventivo sulle città di Vienna, Monaco, Innsbruck, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Ghedi e Piacenza. Le truppe russe-ungheresi (7 divisioni motorizzate e 3 corazzate, 38 lanciamissili, 214 aerei da combattimento, 121 caccia, 24 aerei da ricognizione e 25 bombardieri con armi atomiche prevedevano di occupare il Nord Italia, attraverso le linee di penetrazione di Tarvisio e della Val Camonica, raggiungendo Brescia e Bologna in 13 giorni di combattimenti attestandosi poi saldamente sull’Appennino tosco-emiliano.
… e Cansiglio quindi anche come uno dei perni della difesa dell’Europa Occidentale…
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In quegli anni, sul sovrastante Monte Pizzoc vi era la sede del distaccamento della relativa Area Controllo del 59° Gruppo I.T. dove venivano fatte le prime prove di allineamento di radar ACQ; per strana combinazione, in quella casermetta ci passò anche la Folgore; essa fu infatti anche la base di una pattuglia della nostra II° Compagnia che montò e gestì un posto relè di ponti radio attraverso il quale transitavano le comunicazioni della Divisione impegnata nelle lunghe manovre estive, da Maggio a Luglio, del 1968 (e a maggio sul Monte Pizzoc nevicava…).
La visuale dalla cima di quel monte è mozzafiato… nelle giornate senza nuvole (poche in verità) si spazia dal Lago di Santa Croce a tutta la pianura triveneta fino al golfo di Trieste!
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